Mikhail Sergeyevich Gorbachev (di Cosimo Risi)

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Una figura controversa, quella di Mikhail Sergeyevich Gorbachev, ultimo Segretario Generale del PCUS e ultimo Presidente URSS. Osannato in Occidente, specie in Germania di cui consentì la pacifica unificazione, osteggiato in patria per avere dissolto l’Unione Sovietica.

La sua parabola politica fu tanto breve quanto intensa. Nessun politico della storia ha avuto una così grande influenza in così poco tempo. Il falò delle vanità, per dirla con il Tom Wolfe dell’omonimo romanzo.

La sua vanità fu di pretendere di ristrutturare e rendere trasparente il sistema comunista (le parole d’ordine perestrojka e glasnost) senza toccarne le fondamenta e avendo nel Partito le principali resistenze. Furono infatti alcuni suoi sodali a ordire nell’agosto 1991 il golpe che segnò l’inizio della fine.

Avrebbe voluto modificare il sistema verso la socialdemocrazia per risarcire l’annosa  rottura fra socialdemocratici e comunisti e contestare, una volta e per sempre, l’apologo di Lenin de  “La rivoluzione proletaria e il rinnegato Kautsky”. Per non parlare del social-fascismo caro alla propaganda stalinista.

Gorbachev riabilitò la memoria di Nikolaj Bucharin, il riformista fautore della NEP, la Nuova Politica Economica, giustiziato dai servizi staliniani, e si volse alla SPD della Germania Occidentale come ad un partner più naturale della SED della Germania Orientale.

Si ripubblica ora la foto del bacio che scambiò con Erich Honecker, l’inossidabile leader della RDT: il rito comunista che denotava più distanza che simpatia. Ed infatti ammonì Honecker che, a non cambiare, si finisce per essere malamente accantonati. La profezia si avverò con la caduta del Muro di Berlino e con la popolazione orientale che si riversava dall’altra parte.

A leggere i suoi libri,  si scopre una personalità complessa, capace di interrogarsi di continuo sugli affari del mondo. Anche quando, fuori dai circuiti ufficiali, cercava di influenzare il dibattito con il peso della sua influenza morale. Il Nobel per la Pace gli conferiva un’autorità sconosciuta nel mondo orientale, dove a prendere i premi erano invece gli oppositori del regime.

Gorbachev non praticava sconti, con la chiarezza di linguaggio che gli era propria. Criticava l’Occidente, specie gli Stati Uniti, per avere scelto la pista Eltsin della dissoluzione  dell’URSS invece della pista Gorbachev per la comunità politica degli stati già sovietici. Di avere soprattutto lesinato gli aiuti per convincere la popolazione delle Repubbliche che poteva sopportare le difficoltà iniziali delle riforme in omaggio ad un futuro migliore.  Chiedeva tempo per coagulare il consenso. Il tempo gli mancò.

Accusava  elementi dell’Amministrazione americana, in primis il Segretario alla Difesa, quel Dick Cheney che sarebbe  divenuto il Vice Presidente di George W. Bush, di avere fomentato il discredito nei suoi confronti e nelle possibilità di riformare il sistema senza affossarlo.

Prevalse, a suo giudizio colpevolmente,  l’ansia di chiudere i conti con l’URSS, non importa quali sarebbero state le conseguenze sugli equilibri mondiali. Anche se la frantumazione dell’Unione avrebbe creato problemi al controllo dell’arsenale nucleare di stanza in  Russia, Ucraina, Kazakistan. Si sentì tradito dall’estensione a est della NATO dopo il Gentlemen’s Agreement che diceva di avere concluso con Bush.

Criticava  l’assetto della Russia post-sovietica. L’anarchia dell’era Eltsin e delle privatizzazioni su misura di quelli che chiamiamo gli oligarchi. La svolta neo-autoritaria di Putin, che pure inizialmente apprezzava per lo sforzo di riportare l’ordine in patria e ripristinare il prestigio fuori. Le derive islamiste nel grande corpo centrale dell’ex Impero.

Gravemente malato, dall’ospedale non è intervenuto sulla guerra in Ucraina. Il suo portavoce ha lasciato intendere che ne prendesse le distanze, il ricorso alla guerra contraddiceva la sua inossidabile vocazione alla pace. Pare che, da Presidente URSS, rifiutasse di pigiare il pulsante nucleare financo nelle esercitazioni militari.

Al potere dal 1985 al 1991, con il suo decesso nel 2022 cala plasticamente il sipario sul trentennio di distensione da lui inaugurato.

di Cosimo Risi

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