Il secondo fu il gol del secolo, pari per svolazzi al palleggio volante durante l’allenamento a Stoccarda e al tiro in porta dal calcio d’angolo contro la Lazio.
Non sappiamo se in Svizzera esista un aedo cinematografico o letterario per Roger Federer. Ne dubitiamo: i suoi connazionali sono così riservati che, a incontrarlo per strada a Basilea, fingerebbero di non riconoscere il Re.
E allora applichiamogli l’epiteto che i Greci della classicità riservavano all’eroe: kaloskagathos, bello e valoroso. Nessun aggettivo rende meglio l’immagine dell’eroe dei campi da tennis.
L’occasione è data dall’annuncio pubblico di Roger che si ritirerà dalle competizioni dopo la Laver Cup di fine settembre. La decisione era attesa da tempo, da quando nel 2019 lasciò la vittoria a Djokovic dopo una finale tormentata a Wimbledon. Non era più lui, si disse purtroppo a ragione. Mai, in altra epoca, avrebbe sprecato due match point.
Non è il tennista più vincente della storia. Altri hanno un palmarès più ricco, come promettono di averlo Carlos Alcarez e forse Jannik Sinner, se manterranno le promesse del debutto. Non è il tennista più vincente sul campo, è l’epitome del campione.
Elegante senza essere affettato, ironico senza essere irridente, gentile senza essere manieroso, rispettoso senza essere acquiescente, tranquillo senza essere timido, muscoloso senza essere un body builder. E dire che agli inizi della folgorante carriera esibiva il codino e la bandana: così improbabili che li abbandonò per un aspetto consono al suo rango regale. Capelli tagliati corti, sorriso anche sotto sforzo, soprattutto nessuna traccia di sudore.
Cosa lo rende unico ora e per gli anni a venire? La naturalezza del gesto. Adriano Panatta nota che la racchetta sembra essere la propaggine del braccio destro. Un tutt’uno che si muove con la stessa scioltezza a colpire di dritto e rovescio e volée.
A guardare al rallentatore il suo rovescio a una mano sembra che stai consultando il manuale del tennis, più eloquente, perché applicato sul campo, del classico libro di Gianni Clerici. La racchetta va prima in alto a sinistra, scende a metà altezza per incontrare la palla, continua il movimento fin sopra la spalla destra. I piedi sono ben piantati a terra, questo quando non colpisce a mezz’aria, tornano in posizione orizzontale pronti a sostenere il colpo successivo.
Roger non guarda l’altro campo, fissa la pallina, le comanda di ubbidire al suo ordine, quella esegue. Il suo occhio mentale sa dove è appostato l’avversario per trafiggerlo sull’altro lato e chiudere il punto.
Anni fa, durante uno stage in Austria, il perfido insegnante ci intratteneva la sera con gli strazianti filmati dei nostri allenamenti. Per concludere la proiezione, pescava da You Tube alcuni colpi del Re. Uno ci segnò in particolare: irripetibile ai noi modesti dilettanti e persino a qualsiasi professionista. Il contro-smash a indietreggiare contro Andy Roddick. Fu il classico “Momento Federer” di cui avrebbe scritto David Foster Wallace.
Il gesto fu così stupefacente che Roddick lasciò cadere la racchetta a terra, lo sconforto per avere di fronte un alieno fu tale da fargli meditare il ritiro immediato. Roger raccoglie la racchetta di Roddick e gliela porge: ti prego, non smettere, ce la puoi fare. Anche se il sorriso sornione del Re sapeva che nessuno ce l’avrebbe fatta dopo una prova del genere.
David Foster Wallace (Roger Federer come esperienza religiosa, 2006) lo descrive agli US Open: “Il dritto di Federer è una possente scudisciata, il rovescio è un colpo a una mano che lui sa tirare di piatto o tagliare… L’intuizione e il suo senso del campo sono portentosi, il gioco di gambe non ha uguali nel tennis… Tutto vero, eppure non spiega niente né evoca l’esperienza di guardare questo giocatore in azione. Di assistere, con i propri occhi, alla bellezza e al genio del suo tennis. Meglio arrivare alla questione estetica per vie traverse, girarci intorno o – come faceva Tommaso d’Aquino con il suo soggetto ineffabile – cercare di definirla in termini che non è”.
Roger Federer è interpretabile con le categorie della scolastica, appartiene alla metafisica. E’ stato il braccio di Dio.
di Cosimo Risi