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Astensione, sussidi e “neoplebe” (di Giuseppe Fauceglia)

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I flussi elettorali  della passata competizione elettorale, inducono ad una riflessione sul “conflitto di nazionalità” (uso un’espressione gramsciana) tra due Paesi che sembrano tra loro meno conciliabili che nel passato.

La rimonta pentastellata, che non elimina  una significativa diminuzione dei consensi rispetto alla precedente tornata elettorale, ha origine in un Mezzogiorno sempre più marginale, con tassi di disaffezione dalle urne patologici in Campania e in Calabria.

Vi è che proprio a Napoli, la rimonta pentastellata ha conosciuto il suo massimo sviluppo, con il 42% dei consensi in città e addirittura il 64% in quartieri come Scampia. Se, poi, analizziamo il voto in tutto il Sud, può evincersi che il movimento di Conte ha raggiunto il 23,7%, così risultando il primo partito (posto che Fratelli d’Italia ha conseguito il 23,6%), superando di molto lo stesso Partito Democratico attestatosi al 16,6%. Stessa riflessione fa fatta sui risultati ottenuti dal movimento 5Stelle nelle Isole, dove ha raggiunto il 23,7% dei consensi.

Questo quadro ha delineato una netta distinzione tra l’elettorato del Nord (dove il Movimento 5Stelle ha ottenuto solo il 10,6% dei consensi) e tra lo stesso elettorato del Centro Italia (dove ha conseguito il 13,2% dei consensi). Invero, qui non si tratta solo di constatare la “spaccatura” tra due Paesi, quello del centro-nord sostanzialmente produttivo e quello del sud eminentemente votato all’assistenzialismo, quanto di esaminare i motivi veri del fenomeno.

Innanzi tutto, pare evidente che al Sud si afferma una “neoplebe” (si precisa che al termine non si attribuisce alcuna accezione negativa) non più protetta dai sistemi di welfare, sempre più interessata da fenomeni diversi, come l’evasione fiscale o il diffondersi del c.d. lavoro nero o grigio. Nella città di Napoli, ad esempio, è stato determinante il concorso di un’offerta tutta assistenziale promessa dai 5Stelle e una domanda di altrettanto basso profilo, come quella di assicurarsi per sempre il reddito di cittadinanza.

Resta indubbio che la rimonta del Movimento è stata in prevalenza determinata dalla difesa strenua del reddito di cittadinanza, e gli elettori hanno omesso di considerare che nessuna forza politica aveva messo in discussione la necessità di contrastare con ausili la crescente povertà, ma solo denunciato le innumerevoli frodi che hanno caratterizzato la “distribuzione non selettiva” del reddito (note sono le inchieste giornalistiche sul tema), e la evidente inidoneità della misura per favorire le politiche attive del lavoro.

La difesa, “senza se e senza ma”, del reddito di cittadinanza ha contribuito alla convinzione errata che lo Stato possa far fronte a qualsiasi esigenza, anche di chi il lavoro non intende cercarlo o di chi somma il reddito con proventi “a nero”. In realtà, il reddito di cittadinanza resta un plastico esempio di ciò che da qualcuno è stato definito “voto di scambio di massa”.

La pericolosità di questa situazione può individuarsi nella creazione sociologica di “una vera e propria classe di percettori del reddito”, omogenea nelle scelte elettorali e contrapposta alla “classe dei produttori” (ivi compresi i lavoratori subordinati), e capace di influenzare le dinamiche del voto.

E’ una vera e propria novità, non riscontrabile nei fenomeni “clientelari” registrati ad esempio nella prima Repubblica, estremamente pericolosa per le sorti della democrazia rappresentativa, perché strettamente legata alla mera conservazione, per alcuni, di un privilegio che è già costato alle casse statali oltre 10 miliardi di Euro (senza con ciò eliminare le povertà e senza provocare una virtuosa dinamica delle politiche attive del lavoro).

Non solo, ma il modello che si intenderebbe perseguire è quello di una classe di descamisados che, come in Venezuela, intenderebbe conseguire il massimo risultato elettorale utile, per la costruzione di uno Stato che si limita ad attribuire loro le risorse “spremute” alle categorie produttive, così destinate ad essere minoranza (non va sottovalutato che proprio i 5Stelle hanno, nel passato, strenuamente difeso il dittatore venezuelano Nicolàs Maduro).

Questa valutazione, però, non va disgiunta da altre, tutte determinanti a configurare un Sud sempre più marginale, come la scomparsa della middle management (ovvero dei quadri intermedi delle aziende meridionali) o la grande fuga dei giovani cervelli meridionali (fenomeno questo che si combina con lo scarso interesse riservato alle Università meridionali).

E’ stato sì determinante il voto di scambio fatto con i soldi dei contribuenti, ma non può dimenticarsi il fallimento delle politiche di convergenza tra il Sud e il resto del Paese, anche se bisogna ricordare che regioni, come Campania e Puglia, sono rimaste in parte inadempienti rispetto all’utilizzo dei fondi strutturali. Questa realtà richiede necessariamente una visione unitaria dello sviluppo italiano, su cui dovrà necessariamente misurarsi lo sforzo, anche “creativo”, del nuovo Governo.

Giuseppe Fauceglia    

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