Ciò ha provocato un allarmante effetto domino, nel nostro Paese una stalla su dieci (9%) è in una situazione tanto critica da portare alla chiusura, con rischi per l’ambiente, l’economia e l’occupazione ma anche per la sopravvivenza del patrimonio agroalimentare Made in Italy, a partire dai suoi formaggi più tipici.
Gli allevatori sono ormai asfissiati dai rincari.
Le spese di produzione in media del +60% legata ai rincari energetici, che arriva fino al +95% dei mangimi, al +110% per il gasolio e addirittura al +500% delle bollette per l’elettricità necessaria ad alimentare anche i sistemi di mungitura e conservazione del latte.
La situazione delle stalle di montagna è drammatica; il caro bollette sta costringendo aziende a chiudere ed abbattere gli animali, con un calo stimato della produzione di latte del 15% che impatta su quella dei formaggi di alpeggio.
A rischio c’è l’intero patrimonio caseario nostrano – con 580 specialità casearie tra 55 Dop e 525 formaggi tipici censiti dalle Regioni – che ha regalato all’Italia la leadership a livello europeo, finanche davanti alla Francia.
Il presidente di Coldiretti, Ettore Prandini, leva l’ennesimo grido di dolore: “Quando una stalla chiude si perde un intero sistema fatto di animali, di prati per il foraggio, di formaggi tipici e soprattutto di persone impegnate a combattere, spesso da intere generazioni, lo spopolamento e il degrado”. Secondo la nota sigla degli agricoltori, la chiusura di un’azienda zootecnica non lascia scampo alla ipotesi di una successiva riapertura, con tutto quanto ne consegue dolorosamente ad ogni livello.
Per questo è quanto mai necessario intervenire con immediatezza per contenere il caro energia ed i costi di produzione con misure immediate onde salvare aziende, stalle e strutturali per programmare il futuro, anche con accordi di filiera tra imprese agricole ed industriali con precisi obiettivi qualitativi e quantitativi e prezzi equi che non scendano mai sotto i costi di produzione.
di Tony Ardito
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