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Una lezione da non dimenticare (di Giuseppe Fauceglia)

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Premesso che non è possibile ridurre l’umanesimo soltanto alla storia, alla filosofia o al fenomeno linguistico-letterario, perché queste discipline rappresentano soltanto uno strumento, ma non lo scopo da raggiungere, è opportuno ricordare che anche la moderna scienza politica teorizza che la buona politica, al di là delle forme di governo, dipenda soprattutto dalla qualità morale e culturale dei governanti (si legga il bel libro di James Hankins, La politica della virtù. Formare la persona e formare lo Stato nel Rinascimento italiano, Viella Editore).

Esistono nell’evoluzione del dibattito una serie di elementi comuni in tutte le epoche storiche dal Cinquecento ad oggi: la consapevolezza di vivere in un periodo di crisi o di rapidissima evoluzione, la profonda convinzione che imparando dall’antichità possa trarsi un utile insegnamento anche per il presente. Nel mentre, oggi si è affermata la tendenza ad attribuire eccessiva importanza alle leggi e al tipo di governo, sottovalutando, invece, le caratteristiche di chi si dedica alla “cosa pubblica”.

Le istituzioni non funzionano se non le dirigono persone debitamente formate e con saldi principi morali. Di certo, questo percorso virtuoso non è favorito, in particolare in Italia, dall’attuale legge elettorale, che consente ai partiti di scegliere i candidati più fedeli (e spesso “meno umanisti”), per dislocarli su territori a loro estranei, in barba alla necessità di una rappresentanza territoriale, che almeno offra il senso della “selezione”.

Né può dirsi che l’Università, che in questo sistema malato insegue il “ranking” collegato al flusso di danaro generato e al numero degli studenti che conseguono la laurea in tempo, senza interessarsi se questi abbiano o meno acquisito un idoneo bagaglio di conoscenze. Va detto, poi, che alcuni studenti, specie quelli delle classi più agiate, si iscrivono in determinate università solo per fregiarsi del loro marchio, di un brend ritenuto mera calamità di opportunità (spesso frutto non di dinamiche cognitive, ma di rapporti personali, se non di altro !!).

Mi paiono questi, in uno alla progressiva svalutazione della istruzione pubblica e del merito, segnali di una democrazia in decadenza. Né può essere svalutata la tendenza antieducativa alla cancellazione del passato o il tramonto  dell’amore per la “bellezza” e per la tradizione. Per questi motivi resta importante il ruolo dei “Maestri” (chi scrive ha avuto la grande fortuna di collaborare con uno di questi, l’indimenticabile prof. Vincenzo Buonocore), figure esemplari dal punto di vista accademico e morale, condicio sine qua non di ogni processo formativo personale e collettivo. Ma di questi “Maestri” oggi se ne vedono pochi, mentre emergono personaggi più legati agli affari che alla missione educativa.

Ho delineato, in poche righe, il tratto di una vera e propria emergenza educativa, che si riflette immediatamente sulla formazione e sulle caratteristiche di chi, ad ogni livello, interpreta la politica. Per questo ritengo urgente organizzare scuole di formazione politica, in cui i giovani possano confrontarsi soprattutto con idee diverse, oltre che approfondire quelle che caratterizzano le ragioni della loro militanza. Una scommessa che intendo personalmente affrontare, nella consapevolezza della difficoltà, se non nella diffidenza, del percorso.

Giuseppe Fauceglia

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