Quando la ‘ELF’ voleva cercare il petrolio nel Golfo di Salerno (di Enzo Todaro)

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Novembre 2022 – Novembre 19825. Sono trascorsi quaranta anni e nella mia memoria è tuttora vivo il ricordo, l’impegno e la convinzione che l’autorizzazione concessa alla società petrolifera “ELF” di effettuare ricerche petrolifere nel tratto di mare tra Foce Sele, porta di mare del Cilento, Capo d’Orso, località turistica nota in tutto il mondo, frazione del Comune di Maiori, avrebbe significato la morte del turismo in Costiera Amalfitana, nella zona dei Templi di Paestum e lungo la costa rivierasca del Cilento

Conseguenzialmente, le trivellazioni avrebbero provocato il licenziamento di una grande fetta di lavoratori stagionali e inciso negativamente nel bilancio di alcuni importanti comuni che si affacciano sul mare del Golgo di Salerno

Non fu presa in alcuna considerazione che le trivellazioni avrebbero anche provocato l’inquinamento marino ed effetti negativi sulla fauna marina.

Nel corso di una conferenza stampa un vertice apicale della Elf affermò il contrario ed aggiunse che si viveva bene soggiornando su una piattaforma petrolifera.

Una opinione che non fu tenuta in alcun conto dai Comuni della Costiera Amalfitana e Cilentana, delle Associazioni ambientaliste, delle Associazioni degli Albergatori e dei Commercianti, dai Verdi che fra le tante iniziative contrarie alle trivellazioni organizzarono anche un corteo di protesta che sfilò per il centro cittadino di Salerno

Intanto, il TAR, organismo giudiziario a cui aderirono alcuni avvocati amministrativisti a tutela dell’ambiente, sentenziò la sospensiva della concessione

Nel 1996 la ‘ELF’ decise di non proseguire nelle trivellazioni per la ricerca petrolifera. Intanto il parlamento approvò una Legge che vietava ricerche e trivellazioni nei Golfi di Napoli e Salerno.

Un provvedimento governativo a tutela della Campania che il Ministro Adolfo Urso (Imprese e Made in Italy) certamente terrà in debita considerazione nel momento in cui ritiene necessarie le trivellazioni nel mare Adriatico. Una decisione che ha provocato già molte contestazioni e la volontà delle istituzioni dei Comuni lungo la fascia del Mare Adriatico di presentare alle competenti autorità un documentato ricorso contro la ripresa delle trivellazioni nel mare adriatico alla ricerca del gas

di Enzo Todaro

1 Commento

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  • Ecco un altro fomentatore del falso ecologismo di matrice politica sinistrorsa, buona sola a lamenti continui contro la volontà degli italiani…
    Dovremmo dire di no alle trivellazioni in Adriatico per essere succubi di altri Paesi quali la Francia, l’Austria, la Svizzera che, continuano a produrre energia da centrali nucleari e venderla a carissimo prezzo all’ Italia mentre, contemporaneamente, paesi Balcanici quali Croazia, Bosnia, Montenegro, Slovenia e, forse, anche l’Albania, tranquillamente sfruttano gli immensi giacimenti di gas naturale dell’Adriatico… BOH!!!
    Gli italiani, secondo questo personaggio, sono degli emeriti deficienti?
    Per fortuna, oggi al Governo ci sono politici che prendono decisioni politiche per il bene di tutti gli italiani e non permettono alle lobby (che, probabilmente, finanziano pochi soggetti), di decidere per tutti…
    La Nave rigassificatore a Piombino NO, le Trivellazioni in Adriatico NO, i Termovalorizzatori NO, le Pale Eoliche NO… Qualcuno dovrebbe spiegare ad una Nazione intera di 66 milioni e passa di abitanti quale è l’Italia, come si vuole raggiungere l’autonomia energetica, in un periodo in cui il processo di globalizzazione corre a velocità sostenuta per cui vi è una sempre maggiore richiesta di energia che, non può assolutamente basarsi sulle fonti rinnovabili, anche perché non esistono impianti in grado di assicurarne la piena indipendenza in ogni parte d’Italia…
    Gli addetti alla pubblica informazione dovrebbero fare solo informazione e, NON, propaganda verso uno schieramento politico (centro SN) rispetto all’altro centro DS)…
    A titolo di esempio , si riporta un articolo del quotidiano “CORRIERE DEL MEZZOGIORNO” del 25 marzo 2014..
    “Termovalorizzatore di Salerno, un milione di euro solo per le consulenze” – INCOMPIUTE…
    Nove milioni di spese complessive per un’opera mai fatta da quando De Luca ottenne l’incarico di commissario.
    Al di là del processo per peculato a carico di Vincenzo De Luca per la nomina a project manager del suo capo staff, quella del termovalorizzatore di Salerno è l’esempio di come in Italia vengano spesi soldi pubblici senza la certezza di rendere concreti i progetti. Nove milioni è costato l’inceneritore al Comune di Salerno quando, nel 2008, il sindaco ottenne da Berlusconi l’incarico di commissario straordinario dell’opera che avrebbe dovuto aiutare la Campania ad uscire dall’emergenza rifiuti. Nove milioni gravati sulle casse dell’ente, sebbene l’opzione di rivalsa nei confronti dello Stato. Se i Governi che si sono succeduti abbiano rimborsato le spese sostenute dall’ex commissario, non è dato sapere (ancora). Fatto sta che, prima della legge regionale che ha trasferito le competenze alle Province e prima dei ricorsi al Tar fatti dal Comune di Salerno, della variante urbanistica adottata dall’amministrazione De Luca per evitare che l’allora presidente di Palazzo Sant’Agostino Edmondo Cirielli (FdI) mettesse le mani sull’opera e prima che la Provincia stessa bloccasse l’inizio dei lavori per un problema legato al certificato antimafia della Daneco (una delle imprese che in Ati si è aggiudicato l’appalto), il commissario Vincenzo De Luca non ha badato a spese, certo del finanziamento di tre milioni che avrebbe ottenuto da Roma.
    I CONTI – Finanziamento sforato, se solo si pensa che per gli espropri dell’area di Cupa Siglia (dove doveva sorgere il termodistruttore e finiti in un’altra inchiesta della procura) sono stati spesi quasi otto milioni. L’altro milione è stato investito in consulenze, piani e gruppi di lavoro. Solo il gruppo di lavoro è costato 180 mila euro, tra cui 20 mila (lordi) al project manager e 28mila al rup. Di consulenti (soprattutto prof universitari), invece, non se ne sono alternati molti, ma quei pochi ingaggiati hanno beneficiato di cifre consistenti. Prima c’è stata la coppia Giorgio Donsì-Vincenzo Belgiorno che per 24.480 euro ha fornito una consulenza per individuare la migliore tecnologia da applicare all’opera. Poi, per individuare l’area su cui costruire, alla coppia si è aggiunto Vitale Cardone, ex preside di Ingegneria, per una spesa complessiva di altri 29.376 euro. L’indagine geognostica (sulla natura e la caratteristica dei luoghi) è costata 164.138 euro, mentre lo studio di pre-fattibilità ambientale (condotto ancora una volta da Belgiorno affiancato da Gianfranco Rizzo) è valso 156.480 euro. Il dipartimento dei Beni culturali dell’Università di Salerno ha avuto 21.600 euro per verificare l’interesse archeologico dell’area, invece lo studio di progettazione elettrica (affidato all’ingegnere Vincenzo La Manna) e il piano di monitoraggio ante operam (eseguito dalla Fondazione Università di Salerno) sono costati rispettivamente 42.840 e 200.000 euro. I rilevamenti topografici e la cartografia numerica della Società Fotogrammetrica Meridionali hanno pesato per 23.520 euro. Una sciocchezza al confronto dei circa 83 mila euro andata ai tre membri della commissione aggiudicatrice gara: Antonio Musella, Rodolfo Maria Napoli e Claudio Claudi de Saint Mihiel.

    Nove milioni per un’opera che non c’è e chissà semmai ci sarà.

    Adesso faranno lo stesso anche per le fonti energetiche rinnovabili quali pale eoliche o pannelli fotovoltaici????

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