Agli indagati, oltre al reato di associazione mafiosa, vengono contestati – come riporta il sito web fanpage.it – i reati di estorsione ai danni di numerosi commercianti e traffico di sostanze stupefacenti. I reati sono stati documentati nel corso di una complessa attività investigativa dei carabinieri, durata oltre tre anni.
Particolarmente rilevante quanto emerso dalle indagini dei militari, soprattutto in relazione agli incontri tra esponenti di vertice dei due clan finalizzati a ripristinare una “cassa comune” che avrebbe potuto aiutare gli interessi delle due fazioni, che ad ogni modo avrebbero mantenuto la propria autonomia in termini di operatività.
Il boss dell’inchino della Madonna girava armato: arrestato con la pistola nella giacca. Uno degli indagati controllava gli interessi del clan Schiavone. In merito al clan Schiavone, le indagini hanno rivelato che uno dei 37 indagati odierni ne avrebbe curato gli interessi criminali. All’indagato, affermatosi come punto di riferimento del clan, si rivolgevano non soltanto gli affiliati, ma anche coloro non contigui al sodalizio che gli chiedevano aiuto per risolvere controversie e dinamiche private.
Per quanto riguarda il clan Bidognetti, secondo gli inquirenti questo veniva controllato dal carcere da uno dei figli dello storico boss Francesco Bidognetti (anch’egli detenuto da tempo, in regime di 41 bis). Il figlio del boss, nonostante la carcerazione, avrebbe utilizzato dei cellulari, introdotti illegalmente, per controllare gli affari criminali del clan.
Secondo le indagini, il clan Bidognetti eserciterebbe anche il controllo delle attività di onoranze funebri dell’Agro Aversano, nonché attività usuraia ai danni di commercianti e cittadini.