Si rincorrono gli eventi temporalmente concentrati, dimentichi di un dato quotidiano, della necessità di un lavoro costante.
L’azienda ospedaliera San Giovanni di Dio e Ruggi di Aragona, per l’occasione, ha lanciato un “Open Week” (si, proprio questo il nome) attivando un numero telefonico di sostegno psicologico per le donne vittime di violenza, operativo solo due giorni, il 21 e il 23 novembre, e solo per due ore, dalle 13-15, orari per giunta in cui le donne sono in casa, spesso insieme ai maltrattanti, impossibilitate si capisce a chiamare.
Due giorni. Due ore al giorno. Tutte le iniziative sono valide, e ogni occasione è importante per sensibilizzare sul tema e affrontare la tematica della cultura patriarcale e violenta che impregna la nostra società, ma un servizio così attivato dalla azienda ospedaliera territoriale fa sorgere forte il dubbio che forse si sia davvero molto lontani dall’aver capito di cosa si sta discutendo e di quali strumenti mettere in campo per sostenere davvero le donne vittime di violenza di genere.
In particolar modo mi riferisco al Percorso Rosa, progetto finanziato dalla Regione Campania, sulla carta attivato presso il Ruggi, ma di fatto non attivo. È di ieri la denuncia dell’Associazione Nazionale Cittadinanza Attiva che contesta la mancata attivazione della progettualità. Da Avvocata dei Centri AntiViolenza, esperta in violenza di genere, ho contezza della circostanza che le donne accolte presso l’ospedale per la somministrazione del Kit AntiStupro non trovano l’ambiente disegnato dalla normativa nazionale ed internazionale. Nello specifico la Convenzione di Istanbul, così come ratificata in legge dello Stato, stabilisce espressamente che nei luoghi di accoglienza e sostegno delle donne vittime di violenza di genere debba operare personale di genere femminile, al fine di consentire un maggiore agio e serenità alla persone che ha subito l’abuso e/o la violenza.
Nel caso dei Percorsi Rosa, pur attivi in moltissime realtà ospedaliere nazionali e anche locali, la donna deve essere accolta da personale sanitario femminile in numero di due operatrici, preferibilmente una ginecologa ed un’ostetrica, con la reperibilità sempre garantita di personale formato in violenza di genere e altamente qualificato.
All’ospedale Ruggi le donne vittime di violenza, sia fisica che sessuale, vengono accolte in stanze gremite di personale sanitario misto, trovandosi difronte, troppo spesso, ginecologi.
Dopo aver subito una delle più atroci aggressioni, una donna non può e non deve sentire anche il peso della responsabilità di dover rimandare al medico che non si sente a suo agio, che non vuole sia lui a effettuare l’esame, che è invasivo, che è mortificante, che fa male nel ricordo, nel corpo e nell’anima. La stanza dedicata al Progetto Percorso Rosa giace inerme in un corridoio abbandonato al piano terra del padiglione del Pronto Soccorso. Allora, forse, invece di attivare fantomatici numeri telefonici che a nulla valgono realmente se non a consentire di mantenere in vita immaginifici progetti ed elargire compensi “natalizi” – ricordo infatti che è attivo h24, 7 giorni su 7, il numero di pubblica utilità antiviolenza e stalking della Presidenza del Consiglio dei Ministri – bene farebbe la nostra azienda ospedaliera a formare il suo personale sanitario, come imposto per legge, e ad attivare un servizio necessario e urgente come il Percorso Rosa. Solo allora potranno davvero dichiarare di attivarsi a sostegno delle donne vittime di violenza di genere.”