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L’influenza è in anticipo il picco ci sarà a Natale. Mai tanti casi dal 2009

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Boom di casi di influenza stagionale come non si verificava dalla stagione 2009-2010, quando scoppiò la pandemia da influenza suina. Secondo gli ultimi dati della rete di sorveglianza InfluNet, dell’Istituto Superiore di Sanità, nella scorsa settimana sono stati 771mila gli italiani messi a letto da sindromi simil-influenzali, pari a 12,9 ogni mille (9,5 nella settimana precedente).

L’influenza è partita a razzo, ma il picco non arriverà prima dell’inizio del 2023, comunque in anticipo rispetto alle annate normali, quando il massimo veniva raggiunto tra gennaio e febbraio. A spiegarlo al Corriere della Sera e la Stampa è il direttore generale della prevenzione sanitaria al ministero della salute Giovanni Rezza, che specifica, i virus sono mutazioni degli stessi degli anni passati, ma molte persone negli ultimi due anni non l’avevano più contratto grazie alle prevenzioni adottate per contenere la diffusione del Covid-19.

In questa stagione fredda, invece, stanno tornando a circolare colpendo anche quei bambini che non l’avevano mai sperimentato sulla loro pelle durante la fase acuta della pandemia. Rezza spiega come distinguere i due tipi di infezione e come comportarsi in ciascun caso.

Inoltre, invita chi guarisce dal Covid a utilizzare la mascherina anche se asintomatico in questa fase in cui entrambi i virus circolano molto. «Abbiamo un problema di doppia circolazione virale che rischia di mandare in affanno gli ospedali».

«L’incidenza delle sindromi simil influenzali, causati da una mescolanza di virus respiratori, ha compiuto un balzo deciso in avanti», dichiara riferendosi all’ultima settimana di novembre. «Siamo passati da 9,5 casi per mille abitanti – continua – a 12,9, ovvero 771 mila italiani colpiti.

Dall’inizio della stagione oltre 2,5 milioni hanno contratto l’infezione». Ad essere particolarmente colpiti sono stati i bambini, con 40,8 casi ogni mille nella settimana di riferimento, rispetto ai 29,6 di quella precedente.

La ragione, spiega Rezza «è che i più piccoli, specialmente da 0 a 2 anni, in pratica non hanno incontrato mai questi virus perché hanno trascorso gli ultimi due inverni a casa o con le scuole chiuse». Infatti, «l’influenza in quelle stagioni ha fatto fatica a diffondersi», spiega il dirigente di ricerca dell’Iss. «Sono quindi molto esposti al contagio».

In questo periodo, poi, per molti si rivela particolarmente difficile distinguere tra influenza e Coronavirus. Distinguerne i sintomi «è difficile» conferma Rezza. «L’influenza solitamente provoca un febbrone per circa 5 giorni e può essere più pesante rispetto alle forme lievi di Covid», spiega. «Paradossalmente se si ha solo raffreddore e poche linee di febbre è più facile sia Covid o un rinovirus», continua.

C’è chi teme di contrarre entrambi i virus nello stesso momento, dando luogo a quello che soprattutto all’estero viene definito Flurona. Tuttavia, informa Rezza, «è abbastanza difficile perché esiste quella che noi chiamiamo interferenza virale. Singnifica che «quando ti infetti con un virus difficilmente ti contagi anche con un altro». «Però – avverte – abbiamo un problema di doppia circolazione virale che rischia di mandare in affanno gli ospedali».

«Per questo si è deciso di avviare una campagna di comunicazione per la doppia vaccinazione», che il medico consiglia soprattutto ai più fragili e a chi li frequenta, così protetti dalle forme più gravi della malattia. Il virus circola molto, spiega, e i vaccini antiinfluenzali proteggono dal contagio al 50% – 70%, riducendone drasticamente la diffusione.

In ogni caso, per avere certezza di discernere tra Covid e influenza, «oggi come oggi un tampone non si nega a nessuno». In caso del primo, Rezza ricorda che non è più necessario l’isolamento fino alla negativizzazione, ma solo fino alla scomparsa dei sintomi. Ad ogni modo «una volta finito l’isolamento gli asintomatici indossino le mascherine», raccomanda. Per gli anziani e i fragili, inoltre, potrebbe essere utile un’altra inoculazione del vaccino. «Non parlerei di quinta ma di richiamo. Dopo 4-6 mesi la protezione finisce per cui è meglio fare un’altra dose, tanto più che ora abbiamo a disposizione i vaccini adattati alle nuove varianti»

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