La gentilezza è difficile da definire, ma facile da riconoscere: sono gentili quelle azioni compiute senza secondo fine, amorevoli, rispettose, che suscitano il sorriso e la gratitudine in chi le riceve e appagano coloro che le compiono.
“Praticate gentilezza a casaccio e atti di bellezza privi di senso”. Questa frase, vergata su un tovagliolo di carta nel 1982 da Anne Herbert, scrittrice e pacifista americana, mi ha sempre colpito molto e continua a farlo tutte le volte che ci inciampo. Dice la Herbert: “La gentilezza può generare gentilezza tanto quanto la violenza genera violenza”. Considerazione, quest’ultima, alla quale credo non si debba aggiungere nulla.
Viviamo un tempo in cui cresce il desiderio di imporsi sull’altro e la spinta a primeggiare attraverso una presunta sana aggressività; come se prevalesse l’errata convinzione che chi è più arrogante o sgarbato riesca a farsi notare meglio e addirittura riscuota maggior successo. Colui che è veramente consapevole di sé o delle proprie ragioni, non si impone, ma ascolta, dialoga e persuade.
Di fronte ad una gentilezza ci tranquillizziamo; gesti o parole cortesi hanno il potere di far cadere resistenze e pregiudizi e al contempo agevolano quella empatia che favorisce la comunicazione e lo scambio di idee – e non solo – fra individui.
Affrontare dunque il mondo e relazionarsi al prossimo con gentilezza infonde tranquillità a noi e ai nostri interlocutori e, senza che neppure ce ne accorgiamo, aiuta a rendere noi stessi e gli altri persone migliori.
di Tony Ardito