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La difficile strada del principio di autorità (di Giuseppe Fauceglia)

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Le critiche incessanti, spesso immotivate, rivolte dalle opposizioni al Governo nascondono un obiettivo diverso dalla sola guerriglia parlamentare e giornalistica, alla quale siamo costretti ad assistere ogni giorno.

Basta una semplice dichiarazione, anche di personaggi di secondo rango, per scatenare un putiferio che, poi, viene amplificato da giornali e da TV, che sul “nulla” costruiscono decine di ore di inutili discussioni. Il PD, o meglio quello che resta, e il Movimento 5Stelle hanno capito che il Governo Meloni ha deciso di pagare il prezzo per conseguire un progetto più ambizioso, che di giorno in giorno appare sempre più evidente.

L’obiettivo è quello di restaurare il principio di “autorità”, scommettendo sull’affermazione della capacità dello Stato di far rispettare le regole. Come acutamente osserva Antonio Polito sulle pagine del “Corriere della Sera”, questo obiettivo non è solo il precipitato storico del tradizionale programma securitario, che caratterizza le destre del mondo.

E’ qualcosa di completamente diverso. In Italia, ormai da circa quaranta anni, siamo stati costretti ad assistere al trionfo dell’interesse particolare, a volte infarcito da evidenti conflitti con l’interesse pubblico, nonché ad una defatigante guerra di posizione in cui le esigenze del Paese vengono irrimediabilmente poste in secondo piano.

Ad esempio, si iscrive nella tradizione storica del principio di “autorità” dello Stato la linea di rigore assunta dal Governo di fronte alla violenza degli anarchici insurrezionalisti, con la conferma delle misure di cui all’art. 41-bis per il loro leader Cospito, facendo in ogni caso salvo il principio della tutela della sua salute. Differente prospettiva, del tutto innovativa, si afferma per il disegno di mettere ordine nelle politiche fiscali o nel rapporto tra politica e magistratura.

Se si guarda oggettivamente alle politiche della Meloni, si scopre, ad esempio, che il mancato taglio delle accise sui carburanti risponde ad una logica egualitaria (del taglio hanno usufruito sia il possessore di una Panda che quello di una Ferrari), mentre più opportuna è apparsa la linea di ridisegnare il mercato, destinando, poi, i nove miliardi di euro (richiesti per il taglio delle accise) a sostegno delle imprese e delle famiglie a basso reddito, a fronte del caro energia.

Stesso discorso può farsi per l’incondizionata adesione alle alleanze internazionali dell’Italia, che non solo rispondono alla coerenza politica dell’antica collocazione della Nazione nello scenario internazionale, ma sono finalizzate a confermare l’affidamento che gli alleati ripongono nel nostro Paese.

In sostanza, il Governo scommette sullo Stato e sui suoi apparati, recuperando quel ritardo storico, frutto anche di quella malintesa prevalenza del mercato, che ha caratterizzato nel passato anche le politiche del centro-destra: insomma, le logiche del mercato non vengono affatto negate, ma sono coordinate con l’interesse nazionale, specie in settori strategici (come le infrastrutture e le comunicazioni).

In tal modo, nell’obiettivo di affermare il prevalente interesse pubblico, si delinea una politica non più stretta tra il disordinato “laissez faire, laissez passer”, che aveva caratterizzato l’impianto berlusconiano intriso di qualche conflitto di interessi, e il disegno delle piccole patrie e delle singole categorie, di cui era farcito il programma della Lega.

Non può negarsi, però, la complessità e le difficoltà di questo obiettivo, che intende superare la malattia del populismo, che ha connaturato la politica italiana degli ultimi decenni. Proprio questi motivi inducono ad una opposizione netta il Movimento 5Stelle, al quale segue a ruota il PD, che ha dimenticato le sue stesse “ragioni fondanti” e finanche la sua storia.

Basta guardare agli episodi di questi giorni: la visita nel carcere dell’anarchico Cospito da parte di alcuni parlamentari del PD, il denunciato collegamento tra frange anarchiche e settori della criminalità organizzata (si tratta, ovviamente, di circostanze che tra loro non presentano alcun legame), il crescente movimento guidato dalle sinistre (in particolare da Bonelli, eletto nelle liste del PD) di “rivedere” l’art. 41-bis, hanno in pratica un solo risultato, quello di applicare un’esenzione per ragioni di salute per Cospito, non percependo che verrebbe, in tal modo, aperta una crepa vistosa anche per mafiosi che si trovano nelle stesse condizioni (ad esempio, ragioni di salute potrebbero, poi, richiamarsi anche per Matteo Messina Denaro).

Insomma si vuole perseguire un progressivo attenuarsi del regime carcerario dell’art. 41-bis, per poi poter concludere che il Governo ha realizzato il risultato di abrogarlo e, dappoi, per accusarlo di una certa condiscendenza con gli ambienti della criminalità organizzata (una vera e propria invenzione di sana pianta !!). Si comprende, allora, la scelta politica di vertice di conferma del regime carcerario e la conseguente opzione di affidare, come è normale in un Paese democratico, alla magistratura l’adozione dei provvedimenti ritenuti più opportuni per il singolo caso di specie.

Non è detto, però, che questa politica del Governo sia gradita ad un elettorato, ormai abituato al disordine e all’incuria delle istituzioni in cui si inseriscono pulsioni egoistiche. Per realizzare il disegno (che definirei “storico”) della Meloni risulta, pertanto, necessario agire con serietà e fermezza, prestando la dovuta attenzione anche alle tecniche comunicative.

Giuseppe Fauceglia     

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