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A proposito dell’asse franco-tedesco (di Cosimo Risi)

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Parlare di asse, specie quando una parte è la Germania, provoca un comprensibile sussulto nella destra italiana.  Il ricordo va all’inglorioso Asse con Germania e Giappone. Portò al collasso loro e nostro, a distanza di decenni stiamo ancora a farci i conti.

Una certa storiografia sostiene che l’Italia conserva il retaggio del Ventennio con tracce di ambiguità, non bastano a dissiparle la Giornata della Memoria né la visita di Liliana Segre al Binario 22 di Milano Centrale.

L’antisemitismo alligna ovunque, in Francia e nella stessa Germania, che pure a Berlino ha dedicato il Museo all’Olocausto.

L’asse di cui oggi si discute è franco-tedesco. La sua ultima manifestazione, “inopportuna” nella dichiarazione della Presidente del Consiglio, è l’invito all’Eliseo di Volodymyr Zelenskyj, presenti Macron e Scholz.

Il Presidente ucraino è ospite di riguardo a qualsiasi evento mediatico. A Londra è ricevuto dal Premier anglo-indiano presso l’arsenale militare, a Parigi nel palazzo presidenziale, in Italia Amadeus ne legge il messaggio a Sanremo. Il che dà la cifra di come trattiamo gli affari esteri. E d’altronde la Costituzione viene insegnata sullo stesso palcoscenico e non imparata a memoria nelle scuole come un tempo, al Liceo classico, la Divina Commedia.

Nel 1943, guerra ancora in corso, Jean Monnet prefigura un assetto europeo post-bellico basato sulla cooperazione fra gli stati. Il continente delle nazioni sarebbe scivolato verso nuovi nazionalismi e nuove occasioni di conflitti intestini. Bisogna partire dall’Unione franco-britannica per poi associare gli altri paesi.

Nel 1950, quando Monnet propone al Ministro degli Esteri di Francia una dichiarazione congiunta, ha perso per strada il Regno Unito ma ha guadagnato la Germania Ovest. Invia la bozza agli amici tedeschi perché ci diano un’occhiata, di modo che Schuman possa mandarla al Cancelliere Adenauer con la certezza che questi l’approvi.

La Dichiarazione Schuman segna l’inizio del processo d’integrazione europea e, insieme, dell’asse franco-tedesco. L’asse è consacrato nel Trattato dell’Eliseo,  in questi giorni ne ricorre il sessantesimo anniversario. Il Trattato è la cornice della riunione con Zelenskyj: un modo per aggiornarlo assieme all’Ucraina, l’aspirante membro dell’Unione.

Asse franco-tedesco e integrazione europea marciano quasi di pari passo. Non sempre Berlino e Parigi sono d’accordo fra loro, non sempre i loro progetti diventano europei.

Il Regno Unito, finché c’è stato, smontava le loro costruzioni e trovava sodali  nella critica. Anche l’Italia si mostrava insofferente nei confronti di quella che appariva un’imposizione di pochi su molti. Tutti comunque riconoscono l’importanza storica dell’intesa franco-tedesca dopo due guerre civili europee.

Il Trattato del Quirinale fra Italia e Francia, appena entrato in vigore, sembra già antiquariato. Almeno nelle punzecchiature che i due massimi dirigenti politici si scambiano per mezzo stampa e per le frettolose dichiarazioni dei loro Ministri. L’interesse dovrebbe essere di fare fronte comune per una strategia europea: il tema fondamentale è il dilemma fra pace e guerra.

Il dilemma riguarda la guerra in Ucraina ed il rapporto di medio termine con la Russia. Riguarda il rapporto con l’Africa. Nel Maghreb e nel Sahel truppe francesi e italiane operano insieme, tentano di bloccare alla radice l’invadenza del terrorismo marcato di integralismo islamico.

Il terrore svuota le campagne quanto la desertificazione, è fra le cause delle ondate migratorie che si riversano sulle coste italiane e di qui passano in Francia. Contrastate alla frontiera con la sospensione sine die di Schengen e con azioni di polizia tanto muscolari quanto in definitiva  vane.  Vi è più tela da tessere insieme che panni da lacerare in polemiche dal gusto rétro.

di Cosimo Risi

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