I fatti contestati si ricollegano al sequestro di un quantitativo superiore alle diciassette tonnellate tra captagon ed hashish eseguito nel mese di giugno del 2020 nel porto di Salerno, occultato all’interno di containers commerciali provenienti dalla Siria, in transito presso il locale scalo commerciale e con destinazione finale Arabia Saudita e Libia.
I successivi approfondimenti investigativi avviati all’indomani dei sequestri dei Nuclei di polizia economico finanziaria della Guardia di Finanza di Napoli e Salerno, sotto la direzione di questa Procura Distrettuale, consentirono di ipotizzare, quanto ai fatti accertati, la responsabilità di un soggetto di origini siciliane residente in Svizzera, Alberto Eros Amato (cl. ’76), e di uno spedizioniere doganale salernitano, Giuliantonio Apicella (cl. 72), che furono raggiunti da una misura cautelare nell’agosto 2021, in quanto considerati responsabili dell’intermediazione logistica dei carichi di sostanza stupefacente provenienti dalla Siria.
Per tali fatti, l’ulteriore sviluppo processuale ha condotto alla condanna di Amato alla pena di 10 anni di reclusione, recentemente confermata dalla Corte d’Appello, mentre per Apicella è ancora in corso il processo innanzi al Tribunale di Salerno.
Parallelamente, l’attenzione investigativa è stata rivolta all’individuazione del mittente della sostanza stupefacente e delle operazioni di trasporto, originariamente rimasto sconosciuto, che si è ritenuto di identificare, allo stato delle investigazioni e secondo la prospettiva accusatoria ritenuta fondata dal Giudice per le indagini preliminari, nel citato Al Kayali.
A tale conclusione, evidentemente suscettiva di conferma a seguito del vaglio dibattimentale, si è ritenuto di poter pervenire in base all’analisi forense di telefoni cellulari, da cui sono stati estrapolati alcuni messaggi verosimilmente scambiati, utilizzando le piattaforme whatsapp e telegram, con Amato, al quale sarebbero state fornite istruzioni sulle procedure da seguire per realizzare il programma criminoso, con specifico riferimento alla pratica del “tramacco”, consistente nel trasferire la merce di copertura dagli originari contenitori in altri “nazionalizzati””, in modo tale da far perdere le tracce della provenienza del carico, giustificando tali artifici con documentazione commerciale di accompagnamento emessa da aziende compiacenti.
Il modus operandi ipotizzato, infatti, consisteva nell’eliminazione di ogni indizio da cui risalire all’origine siriana della spedizione, proprio al fine di evitare le ispezioni doganali a cui sarebbero stati sottoposti negli scali intermedi i containers contenenti lo stupefacente, in quanto provenienti dal porto di Latakia in Siria, Paese inserito in “black list” del sistema doganale.
Secondo quanto ritenuto dal giudice, tale quadro indiziario è stato ulteriormente corroborato dagli esiti di una fitta collaborazione info investigativa intercorsa tra questo Ufficio e le omologhe Autorità tedesche, in ragione dell’esistenza di un procedimento giudiziario in essere presso la Procura di Essen, per analoghi fatti di traffico internazionale di stupefacenti ed anfetamine provenienti dalla Siria.
Nell’ambito di tale attività di cooperazione e dalle informazioni condivise è stata ipotizzata l’esistenza di una rete criminale ben consolidata dedita al traffico internazionale di captagon vicina alle autorità siriane, con agganci strategici all’interno del porto di Latakia, dove insisterebbe una potente cellula delinquenziale coordinata da una serie di soggetti (operatori doganali, spedizionieri doganali, organi di controllo etc.) che, a vario titolo, presterebbero la loro opera per curare sistematicamente l’invio di ingentissime partite di stupefacente.
In tale contesto, uno dei principali indagati nel procedimento tedesco, nel corso di un interrogatorio reso nel mese di aprile 2022 ad Essen dinanzi ai PP.MM. italiani, ha fornito elementi ritenuti significativi a carico di Al Kayali, oltre ad informazioni sul vertiginoso business messo in piedi dalle organizzazioni criminali filosiriane, sulla complicità di soggetti addetti ai controlli doganali e sulla riconducibilità ad ambienti siriani di alcuni esponenti di spicco che gestiscono a Latakia tali affari illeciti.
Si ribadisce che il richiamato provvedimento cautelare è stato emesso sulla base degli elementi probatori acquisiti in fase di indagini preliminari; pertanto, in attesa di giudizio definitivo, sussiste la presunzione d’innocenza.
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