Tra il 2020 e il 2021 inoltre sono aumentati i padri che si dimettono per difficolà a conciliare il lavoro con la cura del bambino/a, per ragioni legate ai servizi di cura (+43,9%) o all’organizzazione del lavoro in azienda (+66,2%). Insomma, “sebbene il lavoro di cura dei figli rimanga in Italia un appannaggio prevalentemente femminile, i padri hanno iniziato a riappropriarsi del loro ruolo in famiglia e non vogliono più rinunciare al tempo speso con i figli a causa degli impegni lavorativi”
“Se ancora oggi sono le donne a dover rinunciare alla carriera o addirittura al posto di lavoro, perché gli impegni in casa diventano un impedimento alla loro vita professionale, qualcosa finalmente si muove nell’universo della paternità”, spiegano da Save the Children
Alla sua introduzione, nel 2012, il congedo di paternità prevedeva un solo giorno obbligatorio e due facoltativi, mentre oggi garantisce 10 giorni obbligatori e uno facoltativo ai neopapà, ed è fruibile tra i due mesi precedenti e i 5 successivi al parto. Il tasso di utilizzo del congedo presenta un trend di crescita, passando dal 19,23% del 2013 al 48,53% del 2018 e attestandosi al 57,60% nel 2021
I padri che hanno chiesto il congedo nel 2021 sono stati 155.845, su un totale di 400mila nascite. Si tratta di un trend che non potrà che essere positivo anche nei prossimi anni, se si considera che questo tipo di congedo esclude i lavoratori autonomi e parasubordinati, e che fino all’agosto del 2022 mancavano i decreti attuativi che avrebbero permesso la sua fruizione anche ai padri lavoratori del settore pubblico
Ma una recentissima analisi ha messo in evidenza alcune disuguaglianze significative: ad usufruirne di più sono i padri che lavorano in imprese più grandi, con contratti a tempo indeterminato e a tempo pieno. A parita di caratteristiche individuali e sociali, c’è poi una differenza di circa 17 punti percentuali a favore di chi risiede al Nord del Paese rispetto a chi vive al Sud
Aumenta poi il numero di padri che usufruiscono anche dei congedi parentali facoltativi, rispetto ai quali dal 2022 sono state introdotte diverse novità con l’applicazione della Direttiva europea del 2019
Mentre sul fronte delle dimissioni, se si osserva il totale delle convalide delle dimissioni e risoluzioni contrattuali consensuali delle lavoratrici madri e dei lavoratori padri, su un totale di 52.436 convalide, 37.662 (71,8%) si riferiscono a donne, ma cresce il numero di quelle maschili, 14.774 (28,2%)
Nonostante la quasi totalità delle dimissioni volontarie legate alle esigenze di cura dei figli sia presentata dalle madri, ci sono 1.158 padri nel 2021 che hanno assunto questa decisione. Un numero esiguo, ma in forte aumento rispetto agli anni scorsi
Save the Children sottolinea infatti che tra il 2020 e il 2021 c’è stato un aumento del 43,9% dei padri che dichiarano difficoltà a conciliare il lavoro con la cura del bambino/a per ragioni legate ai servizi di cura – contro un aumento dell’8,4% per le madri – e del 66,2% di padri che dichiarano difficoltà a conciliare il lavoro con la cura del bambino/a per ragioni legate all’azienda dove sono impiegati (+2,7% per le madri)
In quest’ultimo caso sono aumentati del 50% i padri che lasciano l’occupazione perché il datore di lavoro non vuole concedere il part-time e del 73% quelli che lo fanno perché l’organizzazione del lavoro è troppo gravosa e/o difficilmente conciliabile con la cura dei figli. Ma c’è anche un aumento importante anche per quanto riguarda quei padri che, dopo la nascita di un figlio, considerano la distanza della sede di lavoro un problema (+85,3%)
“Studi dimostrano come i congedi di paternità siano uno strumento” di rilievo “nel rapporto di coppia e nel rapporto” padri-figli, migliorando anche la salute e lo sviluppo di bambine/i. Il cammino è ancora lungo e moltissimi passi avanti devono essere fatti per un cambiamento dei modelli culturali di riferimento maschili, per piena condivisione delle responsabilità familiare e per politiche pubbliche che sostengano la genitorialità, anche per contrastare la crisi demografica“, afferma Raffaela Milano, direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children