Secondo l’impianto accusatorio, un settantenne di San Valentino Torio, noto per i suoi precedenti giudiziari anche di tipo associativo e già colpito da misura di prevenzione di tipo patrimoniale per un ammontare di 600.000 euro avrebbe aperto un’attività fittizia di compravendita di auto di lusso ed epoca. L’attività, secondo l’accusa, sarebbe stata realizzata in concorso con un prestanome incensurato di San Marzano sul Sarno. Il tutto era finalizzato a commettere truffe contro concessionari esteri (in particolar modo Olanda e Germania), e successivamente “ripulire” i proventi economici attraverso due imprese compiacenti. La sede della società è stata itinerante per oltre due anni (Roma, Firenze, Brescia, Bologna) per rendere più difficoltosa la sua individuazione.
Il modus operandi era sempre lo stesso: C.L. e il suo complice costituivano un’azienda fantoccio registrandola alla Camera di Commercio ed individuando come sede operativa un ufficio che affittavano presso strutture commerciali eleganti, comprensive di servizi di segretariato con personale dedicato (ignaro degli intenti illeciti della società), dando in tal modo una parvenza di affidabilità e serietà.
Iniziavano poi a ricercare potenziali clienti di società estere di compravendita di auto di lusso, ritenuti più facilmente raggirabili, attraverso l’invio di centinaia di mail verso vari stati dell’Unione Europea, allegando liste di veicoli di pregio a prezzi concorrenziali. Le vittime, attirate da ciò ed avuti i primi contatti, venivano invitate in Italia per visionare fisicamente le autovetture propostegli.
A questo punto iniziava la seconda fase della truffa. Gli indagati, al fine di rendere quanto più credibile la messinscena, presentandosi presso grosse aziende private in possesso di veicoli d’elite, stipulavano dei contratti preliminari di compravendita con l’esborso di modeste caparre confirmatorie. In tal modo avevano copia della documentazione del veicolo e, carpendo la fiducia dei reali venditori che li reputavano intermediari di mercato, potevano mostrare di persona alle loro vittime le vetture presso i luoghi di custodia. Con tali artifizi, i due truffatori convincevano i loro clienti stranieri della serietà dell’affare, riuscendo in tal modo a ricevere l’intero importo del prezzo pattuito o comunque un acconto, ben superiore alla caparra confirmatoria che avevano messo in conto di perdere.
A questo punto i due indagati avevano la necessità di “ripulirsi”. Falsificavano i contratti stipulati aumentando i prezzi pattuiti per replicare, in tal modo, alle doglianze dei clienti e giustificare la mancata consegna delle auto anche in sede civile. Successivamente, le somme di denaro illecitamente acquisite nella commissione delle truffe venivano trasferite su molteplici conti correnti della società, per poi essere bonificati verso i conti di aziende compiacenti, situate a Pagani e Boscoreale, anch’esse raggiunte dal provvedimento di sequestro preventivo, poiché le operazioni di trasferimento del denaro sono state valutate come operazioni di ricettazione.