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Le conclusioni del Consiglio europeo e l’afasia dell’Unione (di Cosimo Risi)

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A leggere le conclusioni del Consiglio europeo di marzo, anche da parte di chi è aduso al linguaggio brussellese, c’è da restare perplessi per l’apparente reticenza su alcuni punti.

Il lungo capitolo sull’Ucraina ribadisce il già noto. L’Unione è al fianco di Kiev e del piano di pace del suo Presidente (quale?) senza esitazioni. E’ pronta a facilitare i negoziati (quando? dove?), allo scopo incrementa le forniture di armi, anche di lungo raggio, quelle che finora erano state escluse ad evitare che cerchino i bersagli in Russia. S’impegna alla ricostruzione del paese, di cui sin d’ora saluta i progressi sulla via dell’adesione (quali?).

Eppure sembra che le conversazioni fra i Ventisette, con Michel e von der Leyen, abbiano toccato il punto dolente della asserita mediazione cinese. La visita di Xi jinpeng a Mosca, e la sua promessa di sentire Zelenskyj (quando? dove?), hanno acceso la fiammella della speranza.

Non potendo contare sull’ONU, il cui Segretario Generale era presente a Bruxelles, tanto vale guardare a Pechino. E prima ancora a Washington. Se gli Stati Uniti non danno il via libera al tentativo cinese, o comunque non si oppongono pregiudizialmente, la speranza europea è destinata a restare tale.

Alcuni dirigenti mostrano di crederci. Il Presidente francese, il solo finora a muoversi sulla pista diplomatica mentre gli altri attendono il vaticinio degli aruspici, intende organizzare una missione a Pechino con la Presidente della Commissione, per darle caratura europea e non nazionale, dove sondare gli umori dell’omologo cinese.

La imperscrutabilità di Xi fa parte ormai della leggenda del personaggio. Dietro il sorriso sul viso pacioso quale pensiero alberga? E’ la  domanda da un milione di dollari che, nel caso, vale la fiducia in  una mediazione di successo.

La prima reazione americana è improntata allo scetticismo. La Cina è appiattita sulla Russia, non ha la terzietà necessaria. Per la Cina il processo è “win-win”: vince comunque. Se va bene, può intestarsi la soluzione della crisi più perniciosa del XXI secolo. Se va male, può scaricare la responsabilità sull’intransigenza dei belligeranti. Si profila come potenza responsabile, che vuole sì costruire il nuovo ordine multipolare, ma senza scossoni, all’insegna soprattutto del business is business.

Se poi in dono arriva l’unificazione con Taiwan, allora sbanca, e senza colpo ferire. Ad applicare L’arte della guerra di Sun Tzu, per cui la vera vittoria si ottiene  senza combattere.

La Tunisia si sta letteralmente spopolando sulla scia della crisi economica ed istituzionale. Il punto di approdo è Lampedusa, gli sbarchi si moltiplicano con l’incedere della buona stagione. Il tema migratorio dovrebbe essere di portata europea, tale almeno è l’auspicio del Governo italiano. Merita poche righe nelle conclusioni. L’impressione è che lo stato membro di prima accoglienza resta quello di primaria responsabilità, gli altri stanno a guardare e si adeguano “au fur et à mesure”.

Prima la Silicon Valley Bank, una banca minore americana, poi il colosso svizzero Credit Suisse, ora la Deutsche Bank, entrano nel vortice della crisi. I riflessi sulle Borse europee sono pesanti. S’innesta la sfiducia negli operatori circa la tenuta complessiva del sistema bancario. Alcuni dei Ventisette, pare i dirigenti degli stati membri mediterranei, avanzano riserve sul comportamento della BCE. Il rialzo dei tassi, quelli già decisi e quelli annunciati, aprirebbe la spirale della recessione. Proprio ora che ci riprendiamo dall’onda lunga della pandemia e che fronteggiamo la crisi bellica?

Neanche di questo è parola nelle conclusioni. E’ come se il documento ufficiale fosse depurato dai punti delicati, nel tacito consenso che i problemi complessi vadano discussi nel chiuso del Palazzo Europa.  Non una grande operazione d’immagine. Nella primavera 2024 si vota per il Parlamento europeo.

di Cosimo Risi

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