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A che serve la riforma Cartabia? (di Giuseppe Fauceglia)

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Con queste mie riflessioni non intendo intervenire sui profili giuridici della riforma del processo civile, che porta il nome dell’ex Ministro della Giustizia del governo Draghi. Come avvocato sono abituato a “sopportare” le numerose riforme che si sono succedute dalla fine degli anni Ottanta dello scorso secolo, le quali non hanno contribuito né a rendere più efficiente ed efficace il processo civile né ad assicurare in tempi ragionevoli una risposta alla domanda di giustizia.

Se si escludono gli effetti positivi del rito del lavoro degli anni Settanta del secolo scorso e quelli connessi alla riforma delle procedure concorsuali e del fallimento dei primi anni di questo secolo, il susseguirsi delle nuove normative hanno finito, con modalità alquanto cervellotiche e singolari, per moltiplicare gli ostacoli alla realizzazione di una “giustizia giusta” in sede civile, il cui risultato deve essere – come scriveva Virgilio Andrioli, un grande giurista del Novecento – di “dare ragione a chi ha ragione e dare torto a chi ha torto”.

Il legislatore ha così dato luogo a procedimenti disseminati da inammissibilità e decadenze, in uno sviluppo di fasi processuali sempre più complicate, oggettivamente finalizzate a rendere più arduo l’accesso al processo.

Basti pensare che il c.d. contributo unificato per le spese di giustizia in Italia è cinque volte maggiore rispetto alla Francia e il doppio di quello in Germania, ma in Italia, nonostante i “costi”, il processo civile dura in media il triplo di quello tedesco e il doppio di quello francese (con tempi che in alcuni tribunali, anche rientranti nel distretto della nostra Corte di Appello, superano i venti o i quindici anni, solo per il primo grado).

Appare, allora, evidente che la vera e propria “farsa” della riforma del processo civile è servita solo per giustificare l’erogazione dei fondi comunitari del PNRR, lasciando immutata, anzi peggiorandola, la attuale situazione comatosa.

Il vero problema è che le scansioni temporali e gli adempimenti assai numerosi e complessi sono stati previsti solo per gli avvocati e per le parti, mentre restano nel “limbo” i tempi richiesti per il Giudice (che potrà sempre addurre a propria giustificazione “la grave situazione del ruolo”, in ragione delle cause che allo stesso sono state affidate).

Ogni avvocato può constatare questa situazione, che va a tutto danno di chi si rivolge ad un tribunale per ottenere una sentenza o una decisione idonea a risolvere un conflitto. Personalmente, posso dare atto che curo controversie (ad esempio, opposizioni a decreto ingiuntivo, per le quali sarebbe previsto un tempo di definizione alquanto rapido) che pendono ormai da circa dieci anni, senza che ancora sia stata né disposta né espletata una consulenza tecnica d’ufficio (cioè, non è stata neppure definita la fase istruttoria).

Il paradosso più evidente di queste situazioni ho potuto verificarla per la richiesta di un provvedimento d’urgenza per ottenere il ripristino della linea telefonica e di internet del mio studio, dopo che una nota compagnia telefonica, ha deciso, senza avviso preventivo e senza rendere addirittura alcuna motivazione (come prevede la legge), di sospenderla, pur in presenza del pagamento con RID delle fatture (alla stregua di quanto previsto nel contratto) e pur in costanza del pagamento (non dovuto) di migliaia di euro, spontaneamente eseguito al solo scopo di rendere possibile il ripristino della linea.

Uno studio legale, con la presenza di numerosi professionisti, che non può utilizzare i servizi di telefonia è destinato alla paralisi (si trovano, a volte, enormi difficoltà nel riscontro delle e.mail o nell’utilizzo della pec per il deposito degli atti processuali nel fascicolo telematico).

Orbene, dopo circa dieci giorni dall’intervenuto pagamento di fatture irregolari, è stato depositato il ricorso di urgenza al Tribunale di Salerno per ottenere il ripristino delle linee (allegando ampia documentazione di supporto probatorio); dopo ben quattordici giorni dal deposito il giudice designato ha finalmente esaminato il ricorso, negando il provvedimento di urgenza inaudita altera parte, disponendo l’udienza per la metà di aprile.

La conseguenza: lo studio ad oggi, da oltre un mese, non può utilizzare le linee telefoniche e di internet, si è visto costretto da dieci giorni a contattare altra compagnia telefonica (ma senza alcun pratico risultato, con ciò smentendo il provvedimento negatorio che aveva ritenuto possibile ovviare il danno e il disagio ricorrendo ad altro concorrente). Mi chiedo, allora, a che servono le riforme ?? mi pare, anche dopo questa esperienza personale, a niente!!! Forse, prima o poi, però, di questo l’Unione Europea si renderà conto.

Giuseppe Fauceglia 

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