Il processo a Gesù (di Giuseppe Fauceglia)

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Il processo a Gesù rappresenta uno dei primi esempi conosciuti di processo politico della storia. I Vangeli, in particolare quello di San Giovanni, iscrive la vicenda in un contesto esclusivamente religioso, nella contrapposizione tra la predicazione del Messia e gli insegnamenti dell’ebraismo tradizionale, nella duplice versione dei sadducei e dei farisei.

I primi, però, erano i seguaci di un partito politico giudaico, totalmente asservito agli interessi dell’impero romano, costituito da una classe sacerdotale, che, a differenza dei farisei, riconosceva il valore della Legge religiosa scritta (Torah) e respingeva la tradizione orale con le credenze a questa connesse, come la resurrezione dei corpi e la sopravvivenza dell’anima.

I sadducei sono rimasti, non a caso, indelebilmente associati alle figure di Caifa ed Anna, rispettivamente il sommo sacerdote che fece arrestare e condannare Gesù e un precedente sommo sacerdote in carica al tempo in cui Gesù avrebbe avuto dodici anni e sarebbe stato dai genitori ritrovato ad insegnare nel tempio. All’epoca della vicenda, però, proprio i sadducei erano i migliori alleati dei romani, e secondo quanto tramandato da Flavio Giuseppe (ebreo vicino alla spiritualità di questi sacerdoti) costituivano un vero e proprio apparato di potere, che godeva, arricchendosi a danno della popolazione, degli enormi benefici derivanti dalla dominazione e dalla conseguente diffusa corruzione dei governatori romani (sul tema: Gabriele Boccaccini, I giudaismi del Secondo Tempio.

Da Ezechiele a Daniele, ed. Morcelliana, 2008; Emmanuel Carrére, Il Regno, ed. Adelphi, 2015). Dopo la morte di Gesù, però, questi scatenarono la prima guerra giudaica, che portò nel 70 d.c. alla distruzione di Gerusalemme e del secondo Tempio. Al tempo di Gesù, i sadducei erano, però, i migliori difensori dell’assetto politico esistente, e a questi parve che la predicazione del nazzareno fosse un vero e proprio attacco alle fondamenta del loro credo.

In merito, si ricorda la discussione sulla risurrezione dei corpi, riportata nei Vangeli sinottici, ciò spiegando anche le divergenze temporali relative ai racconti sulla Passione tra i Vangeli sinottici e quello di San Giovanni.

Proprio per questi motivi, dall’arresto nell’orto degli ulivi del Getsemani all’accusa di sedizione e lesa maestà, fino alla condanna a morte, la vicenda consente una sua ricostruzione in termini “politici”, infatti i sadducei vedevano nella nuova versione dell’ebraismo un pericolo per l’alleanza al tempo stretta con i romani.

Per non alterare gli equilibri politici raggiunti, Ponzio Pilato ritenne di non intervenire sul “processo” a Gesù, timoroso di non scalfire quell’alleanza faticosamente raggiunta con l’establishment di un popolo (diversamente dagli altri) fortemente riottoso alla dominazione romana e alla stessa cultura ellenistica, affidandone la tragica soluzione esclusivamente alla decisione del sommo sacerdote Caifa.

Solo la successiva versione dei Vangeli, e in particolare quella di San Luca (che non è stato testimone diretto degli eventi storici) e, non a caso, influenzato dalla predicazione di San Paolo, il quale, per sua storia personale si era posto in completo contrasto con la tradizione ebraica (di cui, sia pure in parte, erano portatori i discepoli “storici”, San Giacomo e San Pietro), il sangue di Gesù venne fatto “gravare” sugli ebrei, senza distinzione, introducendo quel pericoloso germe antigiudaico che ha caratterizzato la storia non solo del cristianesimo del primo secolo.

In questi giorni di riflessione sulla passione e sulla resurrezione del Cristo, mi è parso opportuno descrivere, sia pure brevemente, il contesto storico in cui la vicenda si è iscritta, profittando dell’occasione per augurare ai lettori una Santa Pasqua.

Giuseppe Fauceglia

2 Commenti

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  • Perchè sporcare la ss. Pasqua con i suoi sproloqui?

    Lei dimentica quello che è e si autocondanna, dando testimonianza su questo fogliucolo delle vostre colpe di quelle dei vostri padri e delle sue personali.

    Come dicevano i santi padri della Chiesa, se hai di più vuol dire che non hai ceduto il giusto corrispettivo in cambio di quello che hai ricevuto, ovvero sei un ladro, e se non lo hai fattu tu ma i tuoi padri sei figlio di ladri.

    Un operaio in cambio della sua miseria dà tutto il suo tempo, tutte le sue energie, tutta la sua salute, tutta la sua vita, la differenza fra il valore di tutto ciò che lui dà e quello che lui riceve in cambio costituisce e costruisce la ricchezza dei padroni, e serve anche a pagare, con le tasse prodotte, improduttivi immeritocratici nepotistici prof.universitari, con carriere piene di titoli parentelari bancari venerei amicali e di clan, gli avvocati son tanto più pagati quanto più fan vincere e trionfare l’iniquità di ricchi ladri parassiti colpevoli.

    Or dunque risultà da ciò che chi è ricco lo è in quanto ha sottratto alla società più di quanto dà in controprestazione.
    Si è appropriato dei sacrifici degli altri, è complice connivente e collaboraziinista con i peggiori ladri ed assassini con cui spartisce il bottino a danno della società tutta.

    Come lei mi insegna, un negozio in cui una parte prende in prestazione qualcosa di valore evidentemente superiore a quando da in controprestazione all’altra, grazie al raggiro o posizione di forza o stato di necessità o complicità di pubblico ufficiale o corruzione di giudice o legislatore, sindacalista o avvocato dell’altra parte o suo rappresentante politico, tradendo la pubblica buonafede, violando pubbliche promesse, patto intergenerazionale, costituzione, pubblico interesse, è moralmente equivalente almeno ad un furto ed reato più grave annesso.

  • Riguardo ad
    Anonimo ha detto:
    9 Aprile 2023 alle 15:26

    Vedo che è partita la versione incompleta del post.
    Per la sua comprensione interpretazione e significato:

    Ovviamente il post fa riferimento metaforico al Vangelo in cui Gesù accusa scribi e farisei nei confronti dei loro comportamento e di quelli dei padri ed il povero prof. Fauceglia qui è solo figura metaforica e specchio della realtà dei dotti e delle classi abbienti di oggi.
    Quindi non della sua persona in particolare si tratta, ma del comune senso religioso e delle cose, e di interpretazione non storica ma teologica dei vangeli.

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