La settimana santa in Terra Santa (di Cosimo Risi)

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Di santo c’è poco in Terra Santa nella settimana appena trascorsa. La coincidenza di Ramadan, Pesach, Pasqua trasforma in campo di battaglia il centro gravitazionale delle tre religioni monoteiste. Per il controllo della terra, nell’accezione materiale di case, strade, luoghi di culto, appezzamenti per la coltivazione e la pastorizia.

Il Governo Netanyahu, il più a destra di sempre nella storia dello Stato, si trova di fronte a tre problemi che ne evidenziano le intime contraddizioni.

Il primo riguarda l’azione di polizia sul Sacro Recinto.    Dopo un susseguirsi di attentati e repressioni, la polizia israeliana penetra nella Moschea al-Aqsa per liberarla da un centinaio di Palestinesi. L’hanno occupata per protestare contro le “passeggiate” degli Ebrei sulla Spianata.

Questa delle passeggiate è una moda riportata in auge dal Ministro per la Sicurezza Itamar Ben Gvir per sottolineare il diritto di accesso per gli Ebrei. Financo di preghiera, in violazione dello status quo sui Luoghi Santi, di cui si dirà appresso.

Il secondo riguarda il rapporto con i Palestinesi, ridotto ai minimi termini malgrado gli sforzi degli Americani per indurre le Parti a più miti consigli. La frustrazione  fra i Palestinesi è alta. La turnazione elettorale è bloccata, la guida dell’Autorità Nazionale e del Presidente Mahmud Abbas sono eternate artificiosamente. Li delude l’appeasement fra i Fratelli Arabi del Golfo e Israele  con gli Accordi di Abramo. Sono divisi fra Hamas a Gaza e Fatah in Cisgiordania nonché frastornati dalla concorrenza fra Jihad e Hamas.

Il terzo è la contrapposizione fra la maggioranza alla Knesset e la società civile. La prima è determinata a ridurre il ruolo del potere giudiziario e della Corte Suprema a favore del potere politico, la seconda è parimenti determinata a salvare la separazione dei poteri in quanto pilastro della democrazia.

La morte del cittadino italiano a Tel Aviv porta la questione mediorientale nelle nostre case. La città era ritenuta una sorta di “free area” dalle tensioni che infestano il resto del paese. Laica, progressista, hi-tech, multiculturale, Tel Aviv vede ridurre la scorta di richiamo civile. L’autore del fatto è un arabo-israeliano, portatore dello scontento della sua comunità in uno  Stato che si dichiara ebraico per legge.

Lo status quo segue all’unificazione di Gerusalemme sotto l’amministrazione israeliana (1967). E’ oggetto della Dichiarazione di Washington firmata da Israele e Giordania (1994), il Regno Hascemita controllava i Luoghi Santi prima dell’annessione.

Le Parti s’impegnavano a garantire “libertà di accesso ai luoghi di significato religioso e storico”, nonché a promuovere “relazioni interreligiose tra le tre religioni monoteiste, allo scopo di lavorare insieme verso la comprensione religiosa, l’impegno morale, la libertà di culto, la tolleranza e la pace”. L’Autorità Palestinese, in virtù del riconoscimento da parte d’Israele, rivendicava il posto della Giordania a garante dei Luoghi per la comunità musulmana.

Nel XIII secolo, a conclusione della Sesta Crociata, l’Imperatore Federico II di Svevia conquistò Gerusalemme  grazie all’intesa diplomatica con il Sultano al-Malik al-Kamil. Con lui definì le regole di accesso al Sacro Recinto, respinse simbolicamente un sacerdote cristiano che ci era andato a pregare, rimproverò il Sultano per avere proibito il richiamo del Muezzin durante la sua permanenza in Città. Ciascuna comunità aveva i propri spazi dove praticare i rispettivi culti, senza reciproche interferenze. Per questo Federico fu scomunicato dal Pontefice di Roma e il Sultano fu accusato di tradimento dagli Arabi.

Tutta la scena regionale è in movimento. Gli Emirati Arabi Uniti modificano la catena di comando con il nuovo Principe ereditario Khaled Mohammed bin Zayed,  figlio del Presidente in carica. Ristabiliscono i rapporti con la Siria, pronta ad essere riammessa nella Lega Araba. L’Arabia Saudita, con la mediazione della Cina,  apre il dialogo con l’Iran e  allenta i legami con gli Stati Uniti.  Il Principe Mohammed bin Salman ostenta cordialità con Putin e Xi jinpeng.

L’Europa, con Emmanuel Macron e Ursula von der Leyen, si reca a Pechino per perorare la mediazione fra Russia e Ucraina e prevenire che la famosa alleanza senza limiti fra Cina e Russia comprenda il sostegno militare. Le risposte cinesi sono cortesemente ineccepibili, hanno quel sottofondo di ambiguità che si presta a varie interpretazioni. L’immagine del declino d’Occidente si materializza nella circostanza. L’Europa anticipa il processo.

di Cosimo Risi

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