A Parigi il Potere aveva la gigantesca statura, gigantesca in tutti i sensi, del Presidente Charles de Gaulle.
Dopo avere animato la Resistenza nella Seconda Guerra Mondiale, contribuito a stracciare la Comunità Europea di Difesa (CED, 1954), lasciato il comando integrato NATO, il Generale tacitò le piazze muovendo la maggioranza silenziosa che “on en avait assez”, ne aveva abbastanza, dei moti di piazza.
Il Potere oggi è rappresentato da Emmanuel Macron, il Presidente espressione delle élites. Le élites: le invochiamo quando le cose buttano male, illuminante è il caso del Governo Draghi; le biasimiamo quando le cose sembrano buttare per il verso giusto. Si torna alla democrazia, all’espressione della volontà popolare contro la Casta.
A contestare il Presidente Macron sono la destra e la sinistra, unite nel 2023 come nel 1954 quando affossarono la CED. Circola l’immagine di lui mentre slaccia l’orologio dal polso durante la conferenza stampa. Sembra vergognarsi del valore. Che è incerto: per i detrattori varrebbe ottantamila euro, per i sostenitori appena duemila. Nessuno che interroghi il maître horloger di Patek Philippe, la casa ginevrina alto di gamma, il solo a poterne peritare l’effettivo prezzo.
Si dice che Macron sposti l’attenzione verso la politica estera: un argomento di distrazione di massa. Come se davvero i Francesi, restii a pensionarsi a 64 anni anziché a 62, si lascino ammaliare dal fascino della sovranità strategica. Il concetto à astruso, ha il pregio vintage di riecheggiare la Grandeur di marca gollista. Da cui venne il programma di arsenale nucleare francese, il solo disponibile in seno all’Unione europea dopo il recesso britannico.
Macron lo rilancia nell’intervista di ritorno dalla Cina. Suona come presa di distanza dagli Stati Uniti, l’Europa deve cessare di esserne vassalla. Sembra ammiccare alla Cina, il caso Taiwan è d’interesse asiatico. Quello di Macron è un sentimento di frustrazione più che un anelito di potenza. L’Europa si sta molto impegnando nella crisi ucraina, le viene negato un ruolo proporzionato nella mediazione fra le Parti.
Il Presidente è accompagnato a Pechino da Ursula von der Leyen. La delegazione ha una singolare composizione, difficile che la Presidente della Commissione si unisca ad un leader di uno stato membro che non esercita la presidenza di turno del Consiglio. E comunque dove si trova Charles Michel?
Alla Presidente della Commissione il ruolo della Cattiva, al Presidente francese quello del Buono. Lo schema è un classico della letteratura gialla. Xi jinpeng mostra di apprezzare l’interlocutore francese, meno l’interlocutrice tedesco-europea. Conclude con lui una messe di accordi commerciali, acquista un centinaio di Airbus.
Sull’autonomia strategica si sono spesi fiumi d’inchiostro. Il nodo resta lo stesso dal fatale 1954: l’Europa deve trasformarsi da gigante economico e nano politico in soggetto internazionale a tutto tondo. Perché la metamorfosi si completi, occorre che sappia dire la sua con gli altri attori globali senza restare in coda, sempre e comunque, all’alleato americano.
Dunque non l’antiamericanismo di maniera di Le Pen e Mélenchon, ma un contributo costruttivo, critico se necessario, all’alleanza euro-atlantica. Senza citarlo, Macron si rifà a Jacques Chirac. Il vecchio Presidente non schierò la Francia nella coalizione dei volenterosi al fianco degli Stati Uniti nella Seconda Guerra del Golfo (2003). Italia, Portogallo, Spagna furono invece della partita.
E’ perciò plausibile che la sortita di Macron susciti perplessità in altri stati membri. Le sue dichiarazioni, sfrondate dai sospetti di politica interna, riaprono il dibattito sull’essenza dell’Unione e, a cascata, sui rapporti UE-NATO. Hanno ricadute sugli equilibri interni, specie in Germania. Berlino pretende l’austerità di bilancio sul piano europeo mentre programma di spendere una fortuna per il riarmo.
I contribuenti europei saranno chiamati a versare molto di più al Tesoro per sostenere l’autonomia strategica. Il costo sarà alto in termini finanziari e di consenso elettorale. Se ci arriviamo indenni, sarà un buon tema nella campagna per le Europee 2024.
di Cosimo Risi