Dopo la missione in Cina e la discussa intervista a bordo aereo, Emmanuel Macron sembra provarci sul serio a mediare fra Russia e Ucraina.
Il suo consigliere diplomatico e l’omologo cinese starebbero elaborando un piano da sottoporre alle parti nonché al terzo soggetto, gli Stati Uniti.
La NATO, si dà per scontato, seguirà. Per non parlare dell’Unione europea che, con Ursula von der Leyen, distribuisce all’Ucraina pagelle di idoneità ai negoziati di adesione.
Ursula vede sfumare il reincarico alla Commissione nel 2024 e accumula crediti per candidarsi a Segretaria Generale NATO. Potrebbe farcela. Il candidato naturale, Mario Draghi, si orienterebbe altrove. A fare il nonno d’Italia, come dichiarò, per muoversi fra Lazio e Umbria?
Il Ministro degli Esteri Sergej Lavrov dismette i panni dell’ultrà nazionalista, quelli li lascia a Dmitrij Medvedev, non gli calzano bene come gli abiti sartoriali cui è aduso. Torna a parlare il diplomatichese: Mosca vorrebbe farla finita con le ostilità, naturalmente alle condizioni più vicine alle proprie pretese.
Alcuni esperti anglo-americani delineano uno scenario che non contempla solo la vittoria dell’Ucraina sul campo. La pace varrebbe l’ammissione che certe zone perdute nel conflitto non saranno riconquistate con le armi. Il riconoscimento del controllo russo sulla Crimea, forse mai messa in discussione sul serio, e su certe regioni russofone? Il congelamento delle dispute in attesa di una conferenza sulla sicurezza a formato multilaterale? Sullo sfondo è l’esigenza di ritrovare un modus vivendi con la Russia, pur sempre un paese europeo.
Sono ipotesi di lavoro da presentare solo in termini ipotetici. Bisognerebbe conoscere le carte. Speriamo che restino coperte senza che un giovane hacker le spiattelli sui media, questo genere di trattative ha speranze di successo se si consuma nell’ombra.
Aleggia il ridimensionamento del ruolo americano. Prelude al ripiego dall’Europa o al rilancio verso l’Indo-Pacifico? Anche qui orientamenti più che certezze.
Si prenda il caso del Medio Oriente – Golfo. Auspice la solita Cina, Arabia Saudita e Iran ristabiliscono i rapporti diplomatici e riaprono le rispettive Ambasciate a Teheran e Riad. Erano chiuse da anni, da quando il Regno condannò alla pena capitale un chierico sciita. Da allora i rapporti si sono ulteriormente raffreddati fino allo scambio di gesti ostili, direttamente e in paesi terzi (Yemen, Siria).
Se l’Iran sciita trova un modus vivendi con la principale potenza sunnita, cade l’opzione militare per interrompere il programma nucleare d’Iran? L’opzione militare è la carta di riserva che Israele agita per bloccare sul nascere la minaccia iraniana.
La domanda andrebbe perciò posta al Primo Ministro Netanyahu. Lo Stato è in ambasce. Le proteste interne contro la deriva anti-democratica del Governo non si placano, cresce l’insoddisfazione dei cittadini meno garantiti e dei Palestinesi, si attenua il motivo della convergenza con i paesi arabi del Golfo, il contenimento dell’Iran. Ed allora: perché Riad dovrebbe sottoscrivere gli Accordi di Abramo e, insieme, dare la licenza a Israele di trattare il caso palestinese come affare interno?
Ma la domanda delle domande è: il sussurro della diplomazia sta per tacitare il fragore delle armi? La risposta è negli scongiuri d’obbligo.
di Cosimo Risi