Il telefono, allora solo fisso, era protagonista del brano musicale, lo è in versione mobile e anti-intercettazione nell’odierna versione diplomatica. Xi jinpeng ha finalmente telefonato a Volodymyr Zelenskyj. Il Presidente cinese l’aveva promesso da quando era stato a Mosca da Vladimir Putin e poi, non si sa perché, aveva ritardato la chiamata. Non c’è campo? Oppure la chiamata, attirando l’attenzione mondiale, non può essere improvvisata?
Conoscendo gli usi della diplomazia e la prudenza cinese ai limiti dell’imperscrutabilità, la seconda ipotesi è la più verosimile. Xi vuole accendere la speranza senza generare illusioni. E’ il medico che individua la diagnosi infausta e prescrive la terapia che potrebbe dare risultati, ma non è detto, alcune malattie, come l’istinto alla guerra, sono dure da debellare. Nel nostro caso, per citare Immanuel Kant, possono portare al “cimitero dell’umanità”.
Gli Ambasciatori delle due parti si saranno molto industriati per fissare l’orario e soprattutto l’agenda. La conversazione è durata un’ora, di fatto la metà per dare tempo agli interpreti di tradurre. Improbabile che i due abbiano parlato una lingua comune. The International English è da escludere, se non altro per non dare soddisfazione agli Americani, i Cinesi li sospettano di incoraggiare la resistenza ucraina oltre misura per essere di intralcio alla trattativa. Nel difendere l’Ucraina, gli Stati Uniti starebbero difendendo il mondo unipolare contro cui si scagliano Cina e Russia.
Il riferimento icastico di Xi è all’integrità territoriale. Suona musica per gli Ucraini che, nel conflitto, difendono l’integrità territoriale minacciata dalle pretese russe. Sempre che, nell’interpretazione cinese, Crimea e Donbass siano di pertinenza ucraina e non russa. A sottolineare la sovranità ucraina è il proclama di Kiev che la prossima controffensiva sarà per liberare la Crimea dall’occupazione.
Le dichiarazioni dell’Ambasciatore di Cina a Parigi lasciano intendere che le Repubbliche ex-sovietiche non avrebbero la piena sovranità. La pretesa di Mosca di riportarle sotto la propria influenza avrebbe perciò un fondamento.
Come la Russia ha ereditato il seggio permanente dell’URSS nel Consiglio di Sicurezza e concentrato l’arsenale nucleare già sovietico, così dovrebbe riprendere il controllo dell’area già sovietica. Fino a quale limite? I paesi baltici, dal 2004 membri dell’Unione europea, erano Repubbliche sovietiche. Il messaggio vale anche per loro?
Per non parlare dell’Ucraina e della Bielorussia, nonché delle Repubbliche caucasiche su cui Mosca esercita un’influenza non sempre pacifica.
Ad impegolarsi con le sovranità europee si rischia di complicare la trattativa fino a renderla impossibile. La saggezza cinese dovrebbe aggirare lo scoglio contro cui rischia di infrangersi la navicella dell’iniziativa. E puntare al cessate il fuoco, il primo passo verso la normalizzazione, per arrivare alla tregua. Dopo un anno e passa di ostilità, senza che nessuna parte mostri di potere sconfiggere l’altra sul campo, sarebbe il momento per fermare i botti e tirare un sospiro.
La primavera avanza e, con la buona stagione, cresce la voglia di regolare i conti una volta per tutte. O almeno di guadagnare ampie posizioni di vantaggio da fare valere al tavolo negoziale.
Armi nucleari di nuova e più micidiale generazione volano qua e là. Gli Stati Uniti riforniscono le basi europee in funzione anti-russa e le basi della Corea del Sud in funzione anti-cinese. La Russia rifornisce la Bielorussia in funzione anti-europea. La Cina aumenta il numero delle testate. Le potenze dichiarano che la loro diffusione serve alla deterrenza. La vera deterrenza è nella de-escalation. A dirlo si passa per sognatori se non per ignavi.
di Cosimo Risi
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