Nel mentre, le vecchie categorie di rappresentazione del reale esplodono nelle contrapposizioni rinvenienti in quel multiforme pelago della cultura occidentale, che pare aver realizzato la sentenza de “Il Fiore delle Mille e una Notte”, secondo cui la verità non sta in un sogno, ma in molti sogni tra loro combinati. Mi chiedo cosa sia oggi la decadente cultura dell’occidente, se non una indistinta confusione di “sogni”, i quali, come nuvole, scorrono nel cielo di una cruda verità che li ignora.
L’attuale crisi antropologica, la mutazione di percezione imposta dalla Rete, la natura delle coscienze nella società secolarizzata, la ricerca di nuove narrazioni potrebbero indurre all’abbandono dello sforzo interpretativo e alla astrazione progressiva di principi oscuri. Eppure, non viene meno la volontà di raccontare e descrivere il presente, e proprio in questo nascosto posto dell’animo si rinviene la fonte dello scrivere e dell’“educare”.
La dismissione delle antiche categorie interpretative, ad esempio, può consentire di esaminare la fragilità dei più giovani, che molti fanno risalire ad una serie di concause, come la pandemia, lo smodato uso di internet e di smartphone, al bullismo. In realtà, la scuola e il mondo degli adulti ha rinunciato all’ascolto dei più giovani, riproducendo – sia pure mutato – il paradigma di una società in cui erano assenti le attuali interconnessioni di conoscenze (vere o presunte che siano).
Forse gli adulti sono incapaci di ascoltare, perché in fondo non accettano il disagio dei loro figli, se non il loro stesso fallimento educativo, frutto di un vero e proprio malessere psicologico e dell’abdicazione del “no” travolto dai troppi facili “si”, assistiti dall’iperprotezione anche contro ogni logica ed evidenza.
Questo spiega l’impropria delega educativa che genitori disattenti e svogliati attribuiscono alla scuola, che non può sostituire la funzione della famiglia, salvo poi a rivoltarsi contro gli insegnanti non appena questi osano rimproverare pargoli poco educati o assegnare un voto non coerente con la ritenuta genialità dei figlioli.
Bisogna, però, riconoscere a questi giovanissimi il coraggio di aver alzato il velo sullo stigma della fragilità e del malessere psicologico. Per combattere questa fragilità bisogna insegnare ad osare, a non smettere mai di studiare e di capire, a rialzarsi dopo le sconfitte della vita, a sognare, nonostante le “brutture” del mondo che ci circonda, perché, forse, anche questo può essere cambiato.
Giuseppe Fauceglia