La politica estera di Silvio Berlusconi (di Cosimo Risi)

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Non risultano opere sistematiche di Silvio Berlusconi sulle relazioni internazionali in generale né sulla politica estera italiana. Il suo agire esterno somiglia all’agire interno.

Un misto di buone intenzioni, non una visione organica quanto un inseguire gli eventi cercando di piegarli verso l’interesse nazionale se non aziendale.

L’atlantismo è la bussola. Il suo americanismo è a tutta prova in termini ideali. Fa pendant alla crociata anti-comunista, la conduce nella costante campagna elettorale, noncurante che i comunisti italiani si siano dispersi nella diaspora e rinunciato al nome originario a favore di sigle di fantasia.

Schiera l’Italia nella coalizione dei volenterosi che accompagna gli Stati Uniti nell’attacco all’Iraq (Seconda Guerra del Golfo, 2003). Non vi è una posizione comune europea, Francia e Germania si astengono dal partecipare, altri stati membri lo fanno.

L’avventura irachena costa sacrifici al paese in termini umani e finanziari, guadagna a Berlusconi la gratitudine e l’amicizia del Presidente George W. Bush.

E’ vicino ai Repubblicani, ad accomunarli l’ovvio anti-comunismo ed il liberismo economico, spicca la ripulsa di principio per l’imposizione fiscale. Con i Democratici il rapporto è di cortesia, con qualche scivolata di gusto quando incontra la First Lady Michelle Obama o quando qualifica Barack di “abbronzato”. Il bagaglio di battute e lazzi rientra nel personaggio, nel desiderio di piacere e compiacere.

Nel 2022 prende le distanze da quella che in definitiva considera la campagna di Russia condotta dagli Stati Uniti per interposta Ucraina. E’ costretto a lesinare le prese di posizione  per non rompere la parvenza di unità nazionale attorno a Kiev. Qui entra in gioco l’altro pilastro della sua strategia: l’amicizia con la Russia e con il leader del Cremlino.

La Germania fa da battistrada nell’intesa con Mosca, il gasdotto North Stream 2 ne è la plastica rappresentazione, l’Italia non può essere da meno. Avere idrocarburi a prezzo calmierato e con facilità di trasporto è manifestamente un affare.

Gli Americani e alcuni europei non la vedono alla stessa maniera. La polemica contro il gasdotto è insistente, è disattivato nel mezzo della guerra a fugare qualsiasi velleità “terzista” da parte di Germania e, in subordine, Italia. I due paesi devono cercare altrove le forniture necessarie.

Che sul conflitto  Berlusconi abbia un pensiero diverso dal dominante è conclamato. Lo esprime attraverso frasi  subito oggetto di rettifiche a cura dei suoi stessi sodali. La  visione eterodossa traspare comunque. Le televisioni russe ne annunciano la morte a reti unificate, Vladimir Putin recita il commosso epitaffio.

La memoria va al cosiddetto Spirito di Pratica di Mare. Nel 2002 la stretta di mano fra Putin e Bush officiata da Berlusconi è fra le immagini più diffuse del tocco magico del Cavaliere. Qualcuno si spinge a definire l’accordo NATO-Russia come la vera fine della guerra fredda, a undici anni di distanza dal collasso dell’Unione Sovietica.

Venti anni dopo, con l’aggressione all’Ucraina e con lo scontro per procura fra NATO e Russia, Berlusconi si sente deluso dagli eventi. Ormai allo stremo, si preoccupa per l’inadeguatezza della politica italiana riguardo alle conseguenze del conflitto per l’Italia e  l’intera Europa.

Nella scia del pragmatismo è l’approccio alla Turchia di Erdogan. Quando alcuni dirigenti europei hanno difficoltà a trattare con Ankara, Berlusconi si pone volentieri da messaggero, grazie alla familiarità con il Presidente. Il fronte conservatore, che sia americano o europeo, lo vede parte attiva.

La sua visione europeistica rientra in quella del Partito Popolare cui aderisce Forza Italia. Si colloca nella corrente principale determinata dalla Democrazia Cristiana tedesca e da Angela Merkel. Se si eccettuano certe frasi sopra le righe, il suo rapporto con la Cancelliera è sostanzialmente buono. Per un’Europa della concretezza, di non alto profilo, lontana dai voli federalisti.

Lo colpisce la lettera all’Italia di Trichet e Draghi, il vecchio e il nuovo Presidente BCE (2011). Il messaggio mette in mora la politica finanziaria del Governo e ne prefigura la fine.

Problematico è il rapporto con la Francia. Brucia il sarcasmo di Sarkozy in conferenza stampa, pesa l’obbligata solidarietà a Londra e Parigi quando attaccano la Libia di Qaddafi (2011). L’operazione, ammantata di scopi umanitari, si rivela alla distanza la condanna della Libia all’instabilità ed all’Italia ad essere ricettacolo di migliaia di migranti.

di Cosimo Risi

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