“In Italia sono circa 3000 i pazienti, oltre 50mila in Europa, per tre quarti donne giovani fra i 20-30 anni, che hanno ricevuto la diagnosi di questa patologia rara, determinata da un eccesso dell’ormone cortisolo”, spiega Annamaria Colao, past president della SIE, docente ordinario di Endocrinologia all’Università di Napoli Federico II.“Chi ne soffre è spesso costretto a ricorrere all’intervento chirurgico, asportando il tumore all’ipofisi. In caso di insuccesso o quando il paziente non è candidabile all’intervento, è possibile passare alla terapia farmacologica”.
“Un salto di qualità e un innovativo paradigma nel trattamento della malattia di Cushing è avvenuto grazie a un nuovo farmaco, il cui principio attivo è osilodrostat, approvato nel 2020 dalla Food and Drug Administration e a gennaio scorso dall’AIFA che ne ha stabilito la rimborsabilità”, afferma Gianluca Aimaretti, neoeletto presidente SIE e direttore del Dipartimento di Medicina Traslazionale (DIMET) dell’Università del Piemonte Orientale. “L’opzione terapeutica, in questo caso, è indirizzata a quei pazienti per i quali l’intervento chirurgico non è indicato o non è stato risolutivo. In base allo studio registrativo di fase III LINC-3, pubblicato su “Lancet Diabetes & Endocrinology”, il mantenimento della risposta completa, cioè la riduzione del livello di cortisolo, è stato raggiunto dall’86,1% dei pazienti e 81%. In un successivo studio multicentrico, con un miglioramento clinicamente significativo della qualità della vita”.
Nonostante questo importante passo in avanti per la vita dei pazienti, oggi in Italia è necessario accelerare l’iter diagnostico perché la sindrome non è ancora stata inserita nella lista delle malattie rare riconosciute dal Ministero della Salute.
“La sindrome di Cushing ha sintomi molto comuni, come ad esempio banalmente il colesterolo alto, l’ipertensione e l’iperglicemia, che possono essere confusi con le manifestazioni di altre patologie meno gravi e complesse. Tutto ciò comporta ritardi nella diagnosi fino a 5-7 anni”, avvertono Colao e Aimaretti. “Per diagnosticare più precocemente la sindrome e ridurre i rischi di complicanze cardiovascolari e cerebrovascolari, è necessario che la sindrome di Cushing venga inserita al più presto nell’elenco delle malattie rare perché, se non identificata tempestivamente e non adeguatamente trattata, può aumentare il rischio di mortalità”.