Nel mentre, una sempre più invasiva edilizia privata dei soliti noti ha finito per occupare anche i pochi spazi pubblici ancora liberi o destinati a parcheggio (basti pensare alla vendita della zona adiacente al Fiume Irno, di proprietà comunale, da destinare alla costruzione di immobili a prezzi di vendita non certo accessibili ai più).
Dopo trent’anni nei quali il signor Crozza ha amministrato, direttamente o indirettamente, il Comune di Salerno, qualche interrogativo di verità andrebbe posto con chiarezza. Nessuno può dubitare che l’amministrazione “De Luca” ha contribuito alla crescita della città, così confortando la narrazione di una Salerno europea (ma non troppo!).
Vi è, però, che l’occupazione del potere, sia pure a volte esercitato in modo efficiente, per un così lungo tempo, finisca per porre non poche perplessità. La prima che mi sovviene, derivata da acute osservazioni dello stesso Governatore sulla c.d. borghesia napoletana, mi pare possa essere riproposta anche a Salerno.
Nella nostra città la borghesia e il ceto medio sono stati asserviti ad un “potere” gestito con tratti di evidente personalismo se non clientelismo (accentuo la connotazione “neutrale” dell’espressione), con crescente isolamento di quelle “voci” (anche “a sinistra”) non sintoniche con la “voce del padrone”, da cui è derivato un impoverimento di proposte, di sollecitazioni e finanche di partecipazione alla vita pubblica.
Bisogna, però, riconoscere con altrettanta chiarezza che il consolidarsi e la stratificazione, diramata in ogni angolo possibile della città, del potere deluchiano è il risultato di una costante carenza di valide alternative. Non si può altrimenti spiegare come una città che esprime il proprio consenso in prevalenza nei confronti del centro-destra nelle elezioni politiche, poi alle amministrative e alle regionali preferisca orientarsi altrove.
Il vero dato è che l’elettorato tradizionalmente di centro-destra vota diversamente, non solo perché attratto dalle boutade da cabaret che strizzano l’occhio ad un vuoto autoritarismo che tanto piace ai tradizionalisti, ma soprattutto perché gli esponenti politici avversari hanno da sempre ritenuto di astenersi dalla competizione amministrativa, se non palesemente orientando l’elettorato nei confronti di De Luca.
Insomma, la forza del potere si fonda sulla debolezza cronica degli avversari e sulla vera e propria mancanza di alternative, sapientemente costruita sulla divisione del centro-destra prodotta dai suoi stessi esponenti, in occasione delle tornate elettorali, in un intreccio di interessi di difficile comprensione.
Occorre, allora, un vero e proprio mutamento di rotta, non mettendo da parte chi in questi anni ha condotto una difficile battaglia (i quali non possono, però, rappresentare dei “tappi”), ma ampliando la sfera dei soggetti da coinvolgere in un nuovo progetto politico, che parta dalle forze più libere e vive della società e che arrivi a costruire uno schieramento unitario e coeso, dando fiducia alla speranza di un cambiamento, ora imposto dall’usura del tempo, nei confronti di chi ha amministrato e gestito la cosa pubblica (a volte senza alcun controllo “esterno”) per questi interminabili trent’anni.
Giuseppe Fauceglia