Il bello del calcio (di Cosimo Risi)

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Il calcio può escludere. Ad esempio il famoso scrittore dalla Fiera letteraria perché ha scritto bene della squadra del cuore e maluccio della squadra della città che ospita la Fiera. Il calcio può includere persone che si guardano con sospetto, pur appartenendo  alla stesso Stato.

Nel saggio Roger Federer come esperienza religiosa, titolo di felice preveggenza a notare l’accoglienza che il Divino Roger riceve a Winbledon 2023, la lunga ovazione e l’omaggio sorridente della Principessa Kate, David Foster Wallace scrive che  “la bellezza non è lo scopo degli sport competitivi”.

La fotografa artistica Noa Klagsbald coglie invece la bellezza dello sport spiando nello spogliatoio del calcio. Riprende i giocatori, etnicamente misti, nel dopo partita Jaffa – Lod. Festeggiano la vittoria ebrei e arabi. La fotografa si chiede se il calcio, in fondo, possegga la chiave dell’integrazione.  

Lo Stato d’Israele non se la passa bene. Da quando si è insediato, il Governo destra – destra di Benjamin Netanyahu non fa che inanellare problemi. Una coalizione di insuccesso, andrebbe da dire, se non fosse che il Premier è l’asso vincente del Likud. Ad ogni elezione guadagna voti abbastanza per mettere in  piedi una coalizione ma non tanto da consentirgli di governare con le mani libere.

Netanyahu soffre le riserve delle opposizioni e persino dell’apparato statale. Diplomatici in  servizio all’estero si dimettono dall’incarico, militari della riserva  non si presentano al richiamo, giudici criticano le proposte di riforma dell’apparato giudiziario. Manifestazioni di massa percorrono le strade. Sottoporre la Corte Suprema al vaglio del Parlamento è alterare la fondamentale divisione dei poteri, il pilastro che differenzia Israele dai vicini mediorientali.

Netanyahu soffre la freddezza dell’Amministrazione Biden, pesano la sua vicinanza all’Amministrazione Trump e l’ostinazione con cui critica le trattative degli Stati Uniti con l’Iran per rivitalizzare l’accordo sul nucleare. Non è un segreto che il Primo Ministro prediliga l’opzione militare alla diplomatica.

L’attacco dell’IDF a Jenin è stato l’apice della frattura fra il Governo di Gerusalemme e l’Autorità Palestinese, già invecchiata e indebolita di suo dalle divisioni interne. Il saggio Presidente Abu Mazen  dismette la saggezza per minacciare di cessare la collaborazione in materia di sicurezza. Non basti percuotere Gaza in risposta ai lanci di razzi, ora il penetrare in Cisgiordania per liberare Jenin dai terroristi è il modo per dichiarare l’inidoneità dell’Autorità a badare a suoi amministrati.

Le città miste in Israele sono scosse dal distacco dei cittadini arabo-israeliani riguardo ad uno Stato di cui hanno la cittadinanza ma non tutti i diritti e neppure tutti i doveri.

Irrompe il calcio.  La Nazionale Under 21 si qualifica alle Olimpiadi di Parigi 2024. La prima volta nella storia di un paese  calcisticamente assimilato all’Europa. A riprova che nelle sue fibre scorre Europa quanto Medio Oriente.

La Nazionale è composita, un sapiente patchwork di elementi ebrei e arabi. Questi ultimi provengono dalle città miste e da piccole comunità dove, per dirla con un protagonista, gli impianti sportivi non esistono. I genitori di Hamza, Karem, Anan, nomi manifestamente arabi, sono diligenti nell’accompagnare i figli dove si possano allenare.

L’iniziale freddezza per una Nazionale che non sembra di tutti, stempera grazie ai successi della compagine. I giocatori arabi hanno la carica per emergere: attaccanti con la voglia di mettere la palla dentro. Una madre confessa di non seguire le partite alla TV, prega i parenti di avvertirla solo all’esultanza del gol. Un padre dichiara di avere avuto i brividi quando il figlio, sul podio, ha ricevuto la medaglia UEFA.

Una qualificazione non fa vittoria. La strada a Parigi sarà impervia. In Francia i giocatori arabi della Nazionale d’Israele troveranno altri giovani arabi pronti a rompere e non costruire. Un cattivo esempio dalla vecchia Europa. Che pure di energie diverse ha bisogno per rinnovarsi.

La demografia ci penalizza inesorabilmente. Se non vogliamo finire “cinesi”, meglio associarci a chi sta vicino per cultura e geografia. Integrare sarebbe la soluzione giusta non solo nello sport. In Italia una moltitudine di italofoni  attende la cittadinanza.

di Cosimo Risi

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