La NATO si allarga (di Cosimo Risi)

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I vertici NATO “si tengono ogni anno nella generale disattenzione dell’opinione pubblica. Ma non stavolta” (Giuseppe Cassini, Lettera da Vilnius). L’inusitato interesse ad uno stanco rituale si deve alla guerra in corso da oltre un anno e mezzo, alla minaccia nucleare che l’ex Presidente russo Dmitrij Medvedev puntualmente agita, alla paura dell’Occidente europeo che l’aggressione russa, se vince in Ucraina, destabilizzi anche questa parte del Continente. Dove siamo male abituati: non abbiamo più guerre dal 1945, un periodo troppo lungo per la   bellicosa attitudine degli Europei.

La NATO è l’ombrello di sicurezza che ci protegge. L’opinione pubblica, di solito noncurante della sicurezza, tanto questa è affidata agli Stati Uniti dal 1945 appunto, vede con favore qualsiasi allargamento dell’Alleanza Atlantica, persino all’Ucraina.

Non deve essere solo Volodymyr Zelenskyj ad essere deluso dall’esito del Vertice, il suo sentimento sarà ampiamente condiviso. Fra l’Ucraina e l’accesso alla NATO si sono posti prima alcuni Europei, la freddezza del Cancelliere Olaf Scholz si manifesta con la voglia di apparire poco o non apparire affatto, e poi l’azionista di maggioranza e decisore di ultima istanza. Il Presidente Biden, in accordo con il Segretario di Stato ed il Direttore CIA, e cioè la massima triade della sicurezza euro-atlantica, ha decretato che non è il momento dell’adesione, questa sarà possibile, e vivamente auspicata, appena il conflitto cesserà.

Il che è tutto da vedere. Nel frattempo all’Ucraina alcuni membri NATO forniscono, o intendono fornire, il linguaggio diplomatico è ricco di ambiguità, le bombe a grappolo e gli aerei F16. Le bombe a grappolo sono bandite dalle Convenzioni internazionali, e dunque noi che del diritto internazionale siamo i paladini, dovremmo guardarcene. Gli aerei sarebbero in grado di trasportare gli ordigni nucleari: puntuale è la reazione del Ministro degli Esteri Lavrov che li riterrà una potenziale minaccia nucleare alla Russia.

Il mondo si sta adoperando, con successo degno di ben altra causa,  a cancellare il trentennio di distensione seguito alla dottrina Gorbacev della cooperazione nelle relazioni internazionali. Il collasso dell’Unione Sovietica sembrava avere reso impossibile il confronto armato in Europa. Ed invece, da febbraio 2022, il ritorno al futuro è il triste ritorno al passato, che le generazioni venute dagli anni Novanta non hanno conosciuto.

La NATO avrebbe dovuto sciogliersi, o comunque ridimensionarsi, avendo perduto il nemico storico, il Patto di Varsavia e l’URSS che l’animava. Il Presidente Macron, appena qualche anno fa, la dichiarava “cerebralmente defunta”. Ed invece la NATO mostra una straordinaria vitalità. A Vilnius, ad una manciata di chilometri dalla quasi nemica Bielorussia, la NATO accetta la Svezia, a completare l’allargamento ai paesi scandinavi. Mesi addietro è stato il turno della Finlandia.

Finlandia e Svezia, nel ricordo dei diplomatici d’annata, erano i luoghi terzi dove Est e Ovest si incontravano per tessere relazioni altrove impossibili. E per fare da scenario alle storie di spionaggio: si pensi a Intrigo a Stoccolma con Paul Newman in stato di grazia.

Sempre secondo Cassini, la burocrazia NATO mira ad accrescersi per autoriprodursi. L’istituzione crea la funzione. L’apparato diplomatico-militare è  enorme, si muove fra Evere, un Comune di Bruxelles Capitale, e Mons in Vallonia.

Le accresciute funzioni necessitano un accresciuto bilancio. Il Vertice di Newport (2014) aumentò al 2% del PIL il contributo di ciascuno stato membro. Nessuno fra gli Europei arriva a quella cifra. L’Italia si ferma all’1,4%, gli aumenti in programma saranno spalmati nel corso di varie annualità.

La riluttanza a spendere è comprensibile. Il bilancio pubblico può trovare i fondi aggiuntivi per la sicurezza aumentando le imposte  o riducendo la spesa sociale. La prima è una decisione impercorribile per Governi che le dichiarano “pizzo di stato”. La seconda non può essere contratta  al di sotto di un certo livello di efficienza di servizi essenziali come sanità e istruzione. Una trappola politica da cui è difficile uscire senza scontentare l’apparato di Bruxelles o fette dell’elettorato.

Certo è che la deflagrazione del conflitto su larga scala costringerebbe a rivedere le priorità. L’incidente può scoppiare in qualsiasi momento. Nella centrale nucleare di Zaporizhzhia? Nell’exclave russa di Kaliningrad fra Lituania e Polonia? Nel trasporto di derrate nel Mar Nero? Siamo appesi al filo della casualità.

di Cosimo Risi

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