Preoccupanti anche i dati sull’erosione costiera dove la Campania con 46 km che in valore assoluto posizionano la Regione al sesto posto a livello nazionale. Inoltre tra il 2006 e il 2019 sono stati modificati 91 km di costa naturale bassa su 218 km in totale, pari al 41,7,% (Dati Ispra). Uno dei problemi è che in Italia si continua ad intervenire con opere come pennelli e barriere frangiflutti, arrivando in totale a ben 10.500 opere rigide lungo le coste italiane, quasi 3 ogni 2 chilometri di costa. Si tratta di opere che hanno artificializzato ulteriormente la linea di costa e che, come provato su molti litorali, modificano inevitabilmente le correnti marine e spostano semplicemente il problema su altri tratti costieri. Il consumo di suolo nei comuni costieri campani è pari a quasi 35mila ettari al 2021 che corrisponde al 25% del totale di suolo consumato in Campania, con un incremento vicino al 5% rispetto al dato 2006. Rispetto al tema inondazioni, in Campana, secondo dati Enea, sono la Piana del Volturno e quella del Sele le due aree ad alto rischio inondazione, che rischiano di essere sommerse dal mare, in uno scenario al 2100 e in assenza di interventi di mitigazione e adattamento. Come anche i porti di Napoli e Salerno, entrambi con oltre 1 metro di aumento del livello delle acque, che raddoppia in caso di condizioni di forte vento e alta marea.
“Le coste campane – dichiara Francesca Ferro direttrice regionale di Legambiente – rappresentano una delle cartine di tornasole più importanti, insieme alle aree urbane, soprattutto per analizzare gli impatti che la crisi climatica sta già portando insieme agli eventi meteo estremi e al riscaldamento delle acque. Per questo è fondamentale intervenire con azioni concrete per le aree costiere approvando il piano nazionale di adattamento al clima e attuando piani e strumenti di governance che riducono il rischio per le persone, le abitazioni e le infrastrutture, e che permettano di programmare interventi volti al miglioramento della gestione dei territori. Così come bisogna garantire il diritto alla libera e gratuita fruizione delle spiagge e premiare dall’altro lato la qualità dell’offerta e le scelte di sostenibilità ambientale nei criteri di affidamento delle concessioni dei lidi.”.
Parlare di spiagge significa parlare anche di concessioni balneari, il cui dato è sempre fermo al 2021. Secondo una stima di Legambiente realizzata sui dati SID e con foto satellitari, in Campania sono ben 1.125 le concessioni per stabilimenti balneari, 166 le concessioni per campeggi, circoli sportivi e complessi turistici. Le restanti concessioni sono distribuite su vari utilizzi, da pesca e acquacoltura a diporto, produttivo. In totale si tratta del 68,1% delle coste basse occupate da concessioni. In Italia non esiste una norma nazionale che stabilisca una percentuale massima di spiagge che si possono dare in concessione, tale scelta viene lasciata alle Regioni che il più delle volte optano per percentuali molto basse. Tra i casi legislativi virtuosi si trova la Puglia che da 15 anni, grazie alla Legge Regionale 17/2006 (la cosiddetta Legge Minervini), ha stabilito il principio del diritto di accesso al mare per tutti fissando una percentuale di spiagge libere pari al 60%, superiore rispetto a quelle da poter dare in concessione (40% ). Di segnale opposto si comporta la Campania che ha imposto un limite minimo (ed irrisorio) del 20% della linea di costa dedicato a spiagge libere. La sintesi è che nel Belpaese è sempre più difficile trovare una spiaggia libera dato che ancora non esiste una norma nazionale che stabilisca una percentuale massima di spiagge che si possono dare in concessione.
Di fronte a questo quadro sono sette gli interventi che Legambiente chiede al Governo Meloni di mettere in campo:
1) approvare in via definitiva il Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici (al momento fermo dopo la fase di VAS, Valutazione ambientale strategica) e stanziare le risorse economiche per attuarlo;
2) superare la logica dell’emergenza e degli interventi invasivi con opere rigide per la difesa delle coste dall’erosione, che hanno risolto poco e solo temporaneamente i problemi locali;
3) adottare misure di adattamento per ridurre il rischio di inondazioni nelle zone costiere (come, ad esempio, interventi di rinaturalizzazione delle coste, ricostituendo le fasce dunali e zone umide e paludose) affiancando anche sistemi di previsione e di allerta, per informare la popolazione interessata, oltre ad un serio ragionamento sulla delocalizzazione di abitazioni e sistemi produttivi dalle aree più ad alto rischio;
4) approvare la legge sullo stop al consumo di suolo che il Paese aspetta da 11 anni.
5) garantire il diritto alla libera e gratuita fruizione delle spiagge, definendo un quadro chiaro di obiettivi da rispettare, valido in tutta Italia, con almeno il 50% delle spiagge in ogni Comune lasciato alla libera e gratuita fruizione. E bisogna premiare la qualità dell’offerta nelle spiagge in concessione;
6) ristabilire la legalità e fermare il cemento sulle spiagge. Obiettivo quello della tutela delle aree costiere nel loro insieme, includendo il rispetto delle aree naturali ed il divieto assoluto di realizzare qualunque tipo di manufatto sulle spiagge e demolendo quelli illegali;
7) rilanciare a livello nazionale e locale la costruzione e l’adeguamento e/o la messa in regola dei sistemi fognari e di depurazione.