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Il crollo delle Università Campane (di Giuseppe Fauceglia)

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Qualche quotidiano, tra questi il “Corriere della Sera”, hanno dato conto dello studio SVIMEZ, Anticipazioni del Rapporto 2023, sullo stato delle Università Campane. Comincio con il ricordare i dati del crollo degli iscritti a livello regionale, confrontando le immatricolazioni dell’anno accademico 2021/22 con quelle relative al 2011/2012.

Orbene, nelle università campane nel decennio si registra una diminuzione di iscritti pari a 25.624, pari a -12,6% del totale, da ciò desumendo che una buona parte dei giovani hanno preferito scegliere atenei del Nord, in particolare il Piemonte che ha conosciuto un incremento del 24,8%, pari a 24.861 iscritti, seguito dall’Emilia Romagna con + 21,3%, pari a 31.120 iscritti e dalla Lombardia con + 17.9%, pari a 43.954 iscritti.

Certamente l’incremento, mancando dati disaggregati, non può farsi solo risalire all’emigrazione universitaria dal Sud al Nord, ma sicuramente non può disconoscersi che una buona fetta del dato incrementale è proprio a quest’ultimo fenomeno direttamente ascrivibile.

Il dato statistico è arricchito da un’ulteriore valutazione: nello stesso decennio, la quota di emigrati meridionali con elevate competenze (in possesso di laurea o di altro titolo di specializzazione) si è più che triplicata, passando dal 9% ad oltre il 34%.

Nel 2022, secondo le stime della SVIMEZ, la quota di laureati sul totale degli emigrati meridionali supera quella relativa a chi ha titoli di studio inferiore. Ma l’analisi non è finita: il dossier dell’Agenzia Nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca (ANVUR), a parte l’aumento delle iscrizioni negli atenei telematici (che hanno ragioni niente affatto attinenti né alla formazione né alla ricerca), ha accertato nel decennio il crollo delle matricole nelle tradizionali università meridionali, pari a circa 70.725.

Da parte, poi, vanno considerate le migrazioni dei laureati verso l’estero, ormai molte famiglie (tra cui anche chi scrive) hanno figli che hanno preferito cercare lavoro qualificato in altri Paesi, in particolare dell’Unione Europea.

Il quadro che emerge resta di particolare gravità: l’emigrazione priva il Sud non solo di un solido sistema universitario ma, soprattutto, della sua futura classe dirigente, tronca la stessa speranza nella rinascita del Mezzogiorno. Le ragioni di questa fuga e i relativi rimedi non possono essere indagate in questa breve riflessione.

Ciò nonostante, bisogna riconoscere che la fuga dei laureati trova giustificazione nella scarsa mobilità del mercato del lavoro meridionale; in una ingessata, e per certi versi clientelare, struttura amministrativa; in stipendi che non possono ritenersi comparabili con quelli del Nord o di altri Paesi europei; finanche nelle più limitate prospettive di sviluppo delle iniziative imprenditoriali, spesso caratterizzate da un vero e proprio “nanismo” finanziario.

Nel mentre, molto più complessa resta l’analisi relativa all’ emigrazione degli studenti universitari, spesso caratterizzata da esigenze tipicamente “giovanili”, quale l’allontanarsi dalla famiglia di origine alla ricerca di una qualche indipendenza, ma pure determinate dal sempre più tenue collegamento tra università e sistema produttivo nel suo complesso, che determina anche la scarsa appetibilità di un percorso universitario, caratterizzato dall’impluvio di materie di esame non orientate al concreto sviluppo formativo; nonché dalla quasi assente attenzione delle Regioni e delle stesse organizzazioni imprenditoriali nei confronti del sistema universitario.

A ciò si aggiungono i “mali endemici” provocati da una legislazione universitaria dissennata e inconsapevole, finalizzata al vuoto produttivismo, rappresentato dal principio “più laureati più finanziamenti”, con conseguente decrescita delle competenze acquisibili nel corso degli studi.

Vorrei, però, ricordare ai colleghi universitari, che bisognerebbe riscoprire la dignità dell’impegno, il valore del contributo che ognuno può dare al processo di costruzione dell’oggi e soprattutto del domani. Si tratta di una missione di grande rilevanza, soprattutto nel contesto formativo universitario, anche con riferimento alle altrettante importanti attività di ricerca.

Ogni professore, anche quando assolve incarichi esterni (non nascondiamolo, spesso risultato di rapporti non troppo cristallini con i conferenti), dovrebbe aver sempre chiara la sua “missione”, continuando con dedizione e passione nell’insegnamento e nella ricerca (quella svolta in proprio e non già “commissionata” ad altri). Questo, però, mi pare restare un sogno in una società che conosce più diritti che doveri.

Colgo l’occasione per comunicare che questa rubrica sarà sospesa nel periodo agostano, per il necessario riposo di chi scrive e di chi legge. A tutti voi formulo un augurio di serene vacanze.

Giuseppe Fauceglia    

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