Impossibile buttarlo giù o aprire una breccia, ci voleva qualcosa di dirompente per far saltare i bastioni che il Cholo Simeone aveva messo davanti a Oblak che in quel frangente era protetto da ben 8 calciatori sistemati in piena area di rigore in due linee da quattro. Ci ha pensato il portiere mostrando senso della posizione, fiuto, capacità di cogliere l’attimo, e istinto killer da bomber.
Nessuno tra gli avversari aveva capito cosa stava accadendo, nemmeno l’unico avversario che era nei pressi dell’estremo difensore. Lo tiene alla sua sinistra ma ha lo sguardo fisso sul giocatore della Lazio che ha la palla e, forse, nemmeno si accorge del movimento che lì, quasi alle sue spalle, c’è Provedel che gli ha già preso il tempo e lo spazio.
Se n’è ritagliato uno tutto suo tenendosi a distanza dal mucchio selvaggio raccolto in quegli undici metri di trincea scavata tra il dischetto e la linea di porta. Ha avuto così abbastanza agio da innescare il movimento giusto per infilarsi nel varco, saltare e deviare il traversone pennellato sul secondo palo da Luis Alberto.
“Ho visto che mancavano 30 secondi alla fine della partita e sono andato”. Inizia così il racconto di quell’istante che resterà nella storia della competizione, delle gare dei biancocelesti in Champions e, forse, può rivelarsi decisivo negli equilibri della classifica. Provedel ha trovato il punto debole della ‘testuggine’ e affondato il colpo. “Volevo che finisse lì la palla, è finita lì e per fortuna l’ho toccata quel giusto che bastava spero di una spinta importante”.
Il portiere della Lazio sapeva quale sarebbe stata la traiettoria della sfera: conosce il modo di calciare dei compagni, studia gli schemi in allenamento su palla inattiva e ne conserva buona memoria. Ecco perché quando ha visto che dai piedi dello spagnolo stava per partire il cross s’è fiondato quasi a occhi chiusi. “Posso dire di aver studiato Immobile – ha aggiunto Provedel -. Luis Alberto da lì di solito batte sul secondo palo, io mi sono buttato lì e ho segnato”.
Che il gesto dell’estremo difensore non sia stato solo frutto del caso oppure della disperazione, ma qualcosa di meditato, lo testimoniano anche le parole di Zaccagni e dello stesso Luis Alberto. Del resto, lo aveva già fatto tre anni fa in Ascoli-Juve Stabia, quando la Champions era ancora un sogno nel cassetto di quel ragazzino che nei Giovanissimi Regionali del Pordenone disputò il suo ultimo anno da attaccante.
“Già prima, sul calcio d’angolo, aveva chiesto alla panchina di poter avanzare”, ha svelato l’esterno d’attacco.”Lui da dietro – le parole dell’iberico – studia e vede tutto con attenzione. Ho messo la palla in mezzo, Ivan sa come faccio quando cerco Ciro (Immobile, ndr) e ha fatto un movimento da vero centravanti”.
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