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San Matteo 2023: Saluto di Mons. Bellandi e Omelia Cardinale Zuppi nel Solenne Pontificale

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Ecco il saluto dell’Arcivescovo di Salerno-Campagna-Acerno, S.E. Monsignor Andrea Bellandi al Cardinale Matteo Maria Zuppi, Arcivescovo di Bologna e Presidente della Cei, nonchè l’omelia di Sua Eminenza Zuppi, nel corso del Solenne Pontificale celebrato questa mattina, 21 settembre 2023, presso la Cattedrale di Salerno, in occasione dei festeggiamenti del Santo Patrono della nostra città, l’Apostolo Matteo.

Eminenza reverendissima, carissimo fratello Vescovo Matteo,

E’ per me e per tutta la Chiesa salernitana, in festa per celebrare il suo Santo Patrono apostolo ed evangelista – di cui porti il bel nome – un onore e una grandissima gioia averti qui presente a presiedere la solenne celebrazione a lui dedicata. La Cattedrale, che ci accoglie numerosi questa mattina, custodisce da quasi un millennio le spoglie di colui che – guardato con infinita misericordia da Gesù, che lo ha chiamato a seguirlo – si è subito posto con entusiasmo a servizio del Maestro di Nazareth e ci ha trasmesso poi quel tesoro inestimabile che è il primo Vangelo. Non è possibile pensare alla Chiesa e all’intera città di Salerno, alla loro storia e alla loro identità, senza il riferimento anzitutto spirituale, ma anche sociale e civile, a questo grande Santo, che certamente ci sta guardando dal cielo e ci protegge. L’identità di questo popolo è fortemente segnata dall’amore profondo, direi quasi viscerale, a San Matteo, tanto che la sua figura campeggia sia nello stemma che nel gonfalone della città.

Grazie, don Matteo, per essere qui tra noi, nonostante i numerosi e delicati compiti che il Santo Padre ti ha affidato, come Presidente della Conferenza episcopale italiana e come ambasciatore di pace in questo drammatico tempo, segnato da un conflitto sciagurato e fratricida non lontano dai nostri confini. Offriamo la nostra preghiera al Signore, tramite l’intercessione di San Matteo, anche per ottenere il dono della pace. E desideriamo pregare, al contempo, anche per il nostro Papa Francesco, ricorrendo oggi i 70 anni da quando nel lontano 21 settembre 1953, come egli ha spesso ricordato, all’improvviso egli scoprì la propria chiamata alla vocazione sacerdotale.

Saluto con viva cordialità, grato della loro presenza, i vescovi e i sacerdoti concelebranti, i religiosi, i diaconi e i seminaristi, le numerose autorità civili – a livello regionale, provinciale e comunale, presenti con i rispettivi gonfaloni – le autorità militari di ogni ordine e grado, le rappresentanze delle diverse realtà lavorative, assistenziali e del volontariato, i portatori delle paranze e, non da ultimo, tutti voi – carissimi fratelli e sorelle salernitani – che qui in Cattedrale o collegati da casa vi unite a questa solenne celebrazione. A tutti voi, auguro di vivere in fraternità e gioia questa giornata del tutto speciale, chiedendo altresì di poter riconoscere quello sguardo di predilezione e affetto del Signore che conquistò il cuore di San Matteo e lo rese suo fedele e appassionato discepolo.

Ho tanti motivi per ringraziare il Vescovo Andrea di questo invito, che onoro purtroppo con un anno esatto di ritardo, opportunità per salutare con affetto anche il vescovo Luigi che è stato il mio primo vescovo quando venni nominato parroco di Santa Maria in Trastevere. Matteo. Il nome lo riceviamo con il dono della vita. La vita ha sempre un nome e, se gli uomini lo dimenticano o lo cancellano o non lo sanno dare, Dio lo conosce, lo ricorda (conosce dice il salmo per nome tutte le stelle!), insomma ci ama. L’amore dona il nome alla persona. Quando non c’è amore, si resta anonimi, senza significato e valore. C’è, ovviamente, ma lo ignoriamo! Impariamo anche noi il nome del nostro prossimo! Matteo, per me, era quasi un atto dovuto perché sono il quarto maschio di casa (poi è arrivato Paolo, il quinto maschio, il sesto figlio, perché almeno c’era Cecilia per consolare papà, che con una certa enfasi diceva di essere Paolo VI)  e dopo Giovanni, Luca, Marco mancavo io per completare gli evangelisti. E’ il mio patrono. E’ il vostro patrono, il nome che ci ricorda che siamo insieme, il noi che è questa bellissima città di Salerno. Il nome è sempre la persona, come dicevano saggiamente i latini. Vorrei ricordare il suo significato: Dono di Dio. Sì. In realtà siamo tutti un dono di Dio. A volte lo nascondiamo, tenendolo per noi tanto da pensare che non lo siamo e da fare credere che non abbiamo niente da dare. Spesso non troviamo chi ci aiuta a scoprirlo: siamo un dono se qualcuno ci fa accorgere del nostro vero valore, lo fa suo, lo rende tale. Il Signore è il più grande talent scout! Lasciamoci amare da Lui e amiamolo. A San Matteo gli fa scrivere un Vangelo. In realtà, lo scrivono insieme, come le storie di amore, dove le persone diventano una cosa sola, si pensano insieme. E ricordiamoci che tutti dobbiamo scrivere il Quinto Vangelo: il nostro, quello che scriviamo con la nostra vita. Riempiamolo di tanti incontri, di gioia, di manifestazioni di come Gesù cammina con noi e compie, con la nostra miseria, il miracolo della vita che cambia, meglio, che diventa bella perché amata. Capiamo, quindi, che siamo un dono solo regalandolo e trovando chi gli dà valore riconoscendolo, dandogli importanza. E di questo ne abbiamo bisogna sempre, anzi ancora di più quando noi stessi pensiamo di valere poco perché pensiamo che il valore sia fare le cose o possederle. Si diventa facilmente uno scarto, cioè quando sei visto solo un peso, una categoria, un peccatore, come avveniva per Matteo. Per il Signore, invece, siamo sempre un dono. Gesù non ci spiega le cose e ci lascia lì a decidere, ma ci coinvolge, strappandoci dal peccato e dalla paura che ci fa chiudere e possedere. Diventiamo finalmente padroni della nostra vita quando regaliamo quello che siamo.

Omelia di Zuppi

Nell’amore è così. Facilmente non capiamo che l’altro è un dono, che può diventare “il prossimo” di cui abbiamo un enorme bisogno. Facilmente l’altro è solo un nemico, giudicato male come avveniva con i pubblicani, che riscuotevano le tasse, imbrogliavano e collaboravano con gli occupanti romani, quindi doppiamente invisi. Il nostro valore non lo verifichiamo con il potere, la forza, l’esteriorità, la convenienza, scambiando vita con vitalismo, ricchezza con soldi, cioè con la pornografia della vita che porta a considerarla inutile quando non è all’altezza. La vita è sempre all’altezza se ami e se è amata. Non è all’altezza e si perde quando non ha amore e non sa amare. C’è più amore nella debolezza che nella forza, nei dettagli della vita che nella sua esibizione penosa, insolente, finta, indotta da certi influencer interessati che portano a cercare una vita che non esiste e che finisce per non farci apprezzare quella che esiste per davvero! Ecco perché proprio il Vangelo di Matteo ci dice che saremo giudicati sull’amore: avevo fame e mi hai dato da mangiare. Perché? Perché avevo fame e tu mi hai amato. E basta, solo per amore. Ecco, Matteo il pubblicano, rivela il dono di Dio che non ha prezzo ed è sempre prezioso, che ci rende preziosi perché capaci di un amore gratuito, per tutti, specialmente per quelli che nessuno ama, “i malati”, i poveri, i peccatori. Quando facciamo un regalo cancelliamo il prezzo. Si deve capire che è gratuito. Regaliamo il dono della vita, cioé l’amore che abbiamo e scopriremo il nostro prossimo diventandolo noi per loro! Gesù vede Matteo e non un pubblicano. Matteo era uno da evitare, da condannare anche, perché così si aiutava a capire quello che aveva fatto mettendolo di fronte al suo peccato. Gesù lo rende dono di Dio amandolo e chiamandolo a donare se stesso. Non lo giudica, lo ama. Non vede il negativo come quelli che cercano i sacrifici – per gli altri – e pensano la misericordia approssimativa, ambigua, pericolosa, debole. In realtà la misericordia è esigente: chiede tutto il cuore, però, non i sacrifici. L’unica ragione che Gesù difende è l’amore e l’amato. E non dimentichiamo che saremo giudicati proprio come giudichiamo! C’è bisogno di tanta misericordia in un mondo come il nostro pieno di sacrifici ma povero di amore. La misericordia è  guardare e parlare con il cuore, pensarsi insieme, fratelli, tutti. Solo la misericordia può spezzare la catena del male, tanto da rendere un peccatore un dono. In un tempo come il nostro, così violento, pericolosamente segnato da tante guerre, lasciamoci conquistare dall’amore di Gesù che ci chiama  come siamo, che ci cambia chiedendoci di seguirlo  per aiutarlo a rendere il mondo come Dio lo vuole: un giardino di amore e non un campo di battaglia o di solitudine. San Matteo è anche il nostro nome comune, Patrono della nostra città. Tutto qui parla delle bellezze di una natura di fronte alla quale il buon Dio è stato particolarmente generoso. La sua presenza a Salerno rende più vive le pagine del Vangelo e ci fa capire come il Signore lo incontriamo nella nostra storia, personale e comune. La Chiesa è sempre come il banchetto di Matteo: festa di peccatori perdonati, amati da Gesù che si siede a tavola con loro. Gesù non si mette a spiegargli tutto di lui e poi lo lascia solo: lo chiama. Siamo chiamati a seguirlo, perché non siamo mai il nostro peccato. Ci illumina con la sua grazia, cioè il suo amore. Nel Quadro più famoso che raffigura la chiamata di Matteo, quello del Caravaggio, la luce raggiunge un uomo, che, incredulo, sorpreso sembra pensare che é l’altro il chiamato, quello che indica con la mano, perché sa che lui é un peccatore. Qualcuno interpreta che per il Caravaggio Matteo è quello chino sul tavolo  a contare I soldi tanto che nemmeno alza lo sguardo. Personalmente penso che Matteo sia quello raggiunto dalla luce che illumina il buio del suo peccato. Ma in tutti e due i casi, l’artista descrive la grazia di Gesù, che ci libera da una vita meschina e sorprendentemente la riempie di amore. Vede in lui la persona che non è il suo peccato, la sua colpa. Fa finta che non ci sia? E’ ingenuo? La misericordia non è uno sguardo incompleto, anzi è l’unico libero, che permette il futuro e non fa restare prigionieri del passato e del peccato. San Matteo perde qualcosa o trova finalmente se stesso? Matteo era un pubblicano. Diventa finalmente Matteo. Andare dietro a Gesù significa andare incontro al prossimo, passare dall’io al noi e dall’io a Dio, a un Dio finalmente personale, che entra nella tua casa, che non si vergogna di te, che ti fa sentire figlio, amato e che proprio per questo ti dice: vieni con me. Smetti di imbrogliare, di guadagnare in maniera disonesta, smetti di pensare a te. Non gli dice: convertiti! Gli dice: seguimi! E’ così che cambiamo: camminando con Lui, amandolo, imparando dall’unico maestro, provando i suoi sentimenti, donando quello che siamo e così capendo chi siamo. Ci chiama e non smette di farlo. Sarà sempre anche l’ultima parola che ascolteremo: seguimi, stai con me. Solo per misericordia. – E quanto ne manca! C’è tanta guerra, tanti sacrifici e poco amore. Che sia così anche per tutta Salerno, nel giorno che fa memoria del suo Patrono. Trovi coraggio e speranza per guardare avanti, affrontare le nuove sfide e permettere a tanti giovani il futuro senza l’amarezza di dovere andare lontano, privando il territorio dell’energia, dell’intelligenza e dell’entusiasmo. A San Matteo affidiamo oggi i nostri desideri e le nostre aspirazioni, prepariamo nella misericordia una città piena di attenzione e capace di scoprire e difendere il dono che sempre é l’altro, costruendo una comunità accogliente, forte delle radici di fede e di nuovi doni per il futuro.

 

 

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