“A Napoli, Giò Giò ucciso a 24 anni in una notte d’agosto – continua – A Caivano è finita l’età dell’innocenza perché due bambine di 10 e 12 anni sono state ripetutamente abusate dal branco. E l’orrore è stato amplificato dalle videochiamate, dai messaggi inoltrati sulle chat, dalle dirette social. A Palermo uno stupro di gruppo. Un dibattito spesso mediocre ne ha accresciuto il clamore, certificando una visione bigotta del ruolo della donna che istiga insopportabilmente al senso di colpa. Roba da Medioevo. A Bari, un professore colpito al petto da un proiettile ad aria compressa.
Come è accaduto a Rovigo solo qualche mese fa. I casi sono talmente in crescita che il Ministro Valditara ha chiesto all’Avvocatura dello Stato di rappresentare il personale scolastico nei giudizi penali e civili. A Senigallia un gruppo di 15enni tende un tranello ad un coetaneo disabile. Lo riempiono di botte senza un vero motivo. Difficile anche a commentare”.
E commenta: “Mi sento travolto. I giornalisti hanno il diritto di cronaca. Noi abbiamo il diritto di non subire passivamente quest’onda di notizie che quotidianamente ci sbatte in faccia morte e violenza. Scandalizzarsi non basta. Sento il dovere di fare qualcosa di concreto perché non possiamo condannarci all’indifferenza, alla passività, all’inerzia. Sarebbe una doppia sconfitta”.
Poi l’analisi: “C’è un dato di fatto: siamo dentro un’emergenza che coinvolge i ragazzi. La loro violenza tradisce un disagio, un disturbo esistenziale, un vuoto di idee, di futuro, un’assenza di prospettive, di slancio verso il domani. Ragazzi sono le vittime e ragazzi sono i carnefici. Si ammazzano, picchiano, abusano, senza ragioni, per il gusto di farlo, per esercitare una supremazia che si basa solo ed esclusivamente sull’uso di una forza cieca e brutale.
Comprendo il dolore di chi è vittima di violenza. Ma ci sono anche i carnefici. Come ci occupiamo di loro? Quale strumenti di redenzione offriamo loro? Attenzione, non li giustifico, né li comprendo. Ma mi pongo il problema di queste persone, che più o meno consapevolmente hanno scelto di stare dalla parte sbagliata. E’ possibile un loro recupero? E se sì con quali strumenti?”
A questi interrogativi Gubitosi risponde: “Giffoni vuole essere dentro questo percorso perché i bambini, i ragazzi, le nuove generazioni sono il nostro cuore che pulsa vita e produce energia. Siamo da sempre impegnati a contrastare la povertà educativa. Lo facciamo in contesti non facili, ci muoviamo sui territori e stringiamo alleanze con le istituzioni, le strutture sanitarie, le realtà associative, gli operatori del terzo settore. Vogliamo farlo sempre di più.
Il nostro 2024 sarà dedicato ancora di più a questo, a costruire progetti mirati a contrastare la fragilità delle nuove generazioni: da quelle mentali ed esistenziali fino a quelle sociali, culturali, di formazione e orientamento. Giffoni ha il dovere di testimonianza, deve essere in prima linea perché da sempre segue le evoluzioni sociali, prova ad accompagnare processi di trasformazione che investono il territorio, le comunità, le esperienze di vita, le dinamiche culturali”.
“Chi sbaglia deve essere punito, lo ripeto. In maniera anche esemplare – aggiunge con convinzione – Ovviamente non tocca a me comminare la pena. Ma, dopo oltre cinquant’anni di vita dedicati ai giovani, mi sento di dire ai magistrati: “Oltre alle sacrosante pene previste dalla legge, condannate i ragazzi che sbagliano alla bellezza. Fateli venire a Giffoni. La loro pena sarà toccare con mano un altro modo di vivere e capire che loro hanno scelto quello più sbagliato.
Potranno vedere cos’è la pulizia dei rapporti sani, la pienezza dell’amicizia disinteressata, della solidarietà, della condivisione, la forza di un sorriso. Mi rivolgo proprio a loro, ai ragazzi che hanno commesso errori di vita: la mia punizione è farvi conoscere Giffoni, perché possiate finalmente essere contaminati dalla bellezza grazie all’esempio di giovani della vostra stessa età, ragazzi che hanno un solo obiettivo, quello di realizzare sé stessi e le loro esistenze insieme agli altri e grazie agli altri.
Lo so, è la condanna più terribile ma anche forse la più riabilitativa: far vedere che un’altra strada c’è. La mia è una provocazione ma anche una proposta che sottopongo seriamente alla vostra attenzione. Pensateci un minuto”.
“Far venire questi ragazzi a Giffoni sarebbe una sorta di pena di Tantalo, al contrario – spiega Gubitosi – loro che hanno così tanta sete e così tanta fame di bellezza, di futuro, di affetto e di sogni arriverebbero nel luogo dove possono finalmente trovare ciò di cui hanno bisogno. E nutrirsene a piene mani. In questo modo, attraverso il confronto con la nostra gioventù – che per fortuna è in gran parte felice, sana e bella – anche i carnefici potrebbero forse riabilitarsi e sottrarsi ad un supplizio eterno – quello al quale si sono auto-condannati scegliendo la strada della violenza.
A questo punto, qualcuno potrebbe pensare che “venire a Giffoni” possa essere un premio che questi ragazzi non meritano. Non è così. Quella che ho in mente non è un corsia preferenziale – so benissimo infatti che ogni anno decine di migliaia di giovani si candidano per entrare nelle nostre giurie e “solo” 6500 ce la fanno. Si tratta piuttosto della tappa di un percorso riabilitativo a cui dovrebbero essere sottoposti tutti coloro che hanno scelto la strada della violenza, elevandola a sistema di vita, a regola”.
E ancora: “Isolare chi ha sbagliato non basta. Serve far comprendere loro che esistono altri mondi e che il loro, invece, è un mondo piccolo, fatto di paure e di oscurità, un mondo in cui fanno male gli altri, ma fanno soprattutto male a loro stessi. Tutto questo potrebbe essere davvero utile. Voglio procurargli uno shock. Perché qui a Giffoni le mani non sono strumenti di morte e di violenza. Servono, al contrario, per accogliere, per esprimere empatia, per costruire ponti, per riconoscersi. Non so se esagero. Ma penso che qui, oltre ai carnefici, dovrebbero esserci anche le vittime.
Perché noi, a Giffoni, stiamo dalla loro parte. Dalla parte di chi è stato bullizzato, violentato, abusato. Offriremo loro un abbraccio collettivo che possa mitigare almeno in parte il dolore che alberga nei loro cuori, che si è impossessato della loro anima”.
Quello del fondatore di Giffoni è un invito a un esperimento sociale. “Fallirò? – replica – Probabile ma non potrò rimproverarmi di essere stato inerme. Ci riuscirò solo in minima parte? Sarebbe già un grandissimo risultato. Voglio prendere e portare chi ha sbagliato qui dove c’è la felicità. Voglio che questi carnefici “subiscano” la felicità. E inizino a comprendere che il rispetto degli altri non te lo dà una pistola. Voglio portarli in mezzo a tanti altri ragazzi che sono felici di essere protagonisti della propria vita, che si sentono responsabili della propria esistenza.
E che hanno scelto strade di vita e non sentieri bui di morte. Voglio fare la mia parte. Sento che bisogna reagire. Perché, come sempre accade, non ci si dimentichi di queste vittime, non le si archivi una volta passato il clamore mediatico. Perché non prevalga mai l’assuefazione all’orrore. Perché scatti la molla della partecipazione al cambiamento. Solo così potremo tradurre in realtà la speranza di un mondo migliore”.