ASL Salerno, eccellenza sanitaria sul territorio: presentato oggi il volume “La comunità che cura”

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Le esperienze di Sanità territoriali eccellenti come punto di partenza per un reale cambiamento nel servizio sanitario italiano: è la filosofia alla base del volume “La comunità che cura – Dall’esperienza al modello di gestione della cronicità nel Sistema Sanitario Nazionale”, realizzato con il contributo di Galapagos in partnership editoriale con Egea, che racconta quali innovazioni si stanno attuando a livello regionale per migliorare la presa in carico del paziente cronico.
Emerge un quadro significativo che da un lato valorizza l’esperienza concreta maturata sul territorio e che dall’altro delinea le principali sfide da affrontare per attuare gli obiettivi del Decreto Ministeriale 77 – che definisce le linee guida e gli standard innovativi per il Servizio Sanitario Nazionale e i Servizi Sanitari Regionali, ponendo la dimensione territoriale come fulcro di una programmazione sanitaria più accessibile e sostenibile.  Obiettivo finale è identificare dei modelli che possano rendere il sistema più organizzato, accessibile e sostenibile.
Il libro, curato da Maria Rosaria Natale, fondatrice e CEO di Your Business Partner, è stato presentato oggi a Roma, al Ministero della Salute, nel corso di un forum istituzionale al quale hanno partecipato diversi rappresentanti delle Istituzioni sanitarie nazionali e regionali.
Il nostro sistema sanitario si trova di fronte alla sfida di garantire cure a una popolazione sempre più longeva con un’incidenza crescente di patologie croniche – commenta il Ministro della Salute, Orazio Schillaci, nel messaggio di saluto inviato ai promotori e partecipanti all’evento –  per affrontare questa sfida in modo efficace, è fondamentale mettere al centro la persona, valorizzando l’assistenza territoriale e domiciliare, sfruttando le opportunità offerte dalla sanità digitale e dalla telemedicina e promuovendo attivamente la ricerca scientifica. Stiamo investendo in questa direzione attraverso i fondi del PNRR per consentire al nostro Servizio Sanitario Nazionale di compiere un salto di qualità, offrendo assistenza più personalizzata e mirata ai pazienti cronici”.

INTERVISTA AL MANAGER DELL’ ASL SALERNO GENNARO SOSTO su La programmazione sanitaria e la medicina personalizzata: il paziente al centro di un approccio integrato

 

Attualmente si discute molto di medicina “personalizzata”: come si realizza questo modello? Quali sono i vantaggi che ne conseguono?

Dal mio punto di vista, il vero cambio di paradigma è il passaggio da un processo di cura guidato dalla patologia ad un percorso di cura che metta al centro il paziente. L’offerta ospedaliera e quindi il posto letto non possono più essere l’indicatore del corretto funzionamento del sistema sanitario. L’obiettivo è passare da una logica prestazionale alla presa in carico diffusa e multiprofessionale, soprattutto per alcune zone del territorio nazionale dove lo spopolamento e la distanza con i punti di erogazione dei servizi sanitari mette in discussione il concetto cardine dell’equità per la salute.

I cambiamenti epidemiologici e demografici in atto costringono le organizzazioni a modificarsi verso un modello di salute d’iniziativa, proattiva e di prossimità, tale da garantire al paziente, soprattutto se anziano e fragile, interventi adeguati e differenziati in rapporto al livello di rischio. Modelli dove gli operatori sanitari e sociosanitari, volontariato e istituzioni rappresentano il collegamento fra residenti e servizi.

Sostanzialmente, nel caso dei pazienti over-65, statisticamente si rinviene una condizione di comorbidità associata alle patologie croniche più diffuse. Questo ci spinge a non poter più ragionare attraverso una cura verticalizzata sulla singola patologia: serve cambiare i processi, passare ad un approccio che consideri le differenti patologie, che coesistono nella stessa persona.

È opportuno passare ad un percorso multidisciplinare e integrato, basato sulla collaborazione di differenti figure specialistiche – ognuna esperta della singola area terapeutica correlata – che, coabitando, possano offrire alla persona una presa in carico duratura e ben collaudata.

Questa nuova prospettiva rappresenta il superamento dei PDTA (Percorsi diagnostici terapeutici assistenziali) concepiti per la cura e l’assistenza della singola patologia, arrivando quindi ad un nuovo approccio tale da offrire al paziente un piano personalizzato e integrato di assistenza.

Proprio in questo contesto, un ruolo fondamentale è assegnato alla digitalizzazione e all’innovazione tecnologica a sostegno dei processi clinico-assistenziali, che consentono di acquisire le informazioni sulla persona (nel pieno rispetto della privacy) in modo organico. La tecnologia accompagna i processi rendendoli più “prossimi” alla persona e più flessibili per le Organizzazioni.

 

In questo contesto assume un ruolo rilevante la figura dell’infermiere di famiglia: in che modo s’inserisce in questo approccio organizzativo?

La figura dell’infermiere di famiglia risponde esattamente al disegno del DM77, rappresenta il snodo dirimente, insieme agli altri professionisti territoriali della prossimità come le farmacie di comunità e le assistenti sociali.

Attraverso questa nuova figura professionale, che ha dei percorsi universitari dedicati e che in molte realtà esiste già in forma sperimentale, è l’elemento di facilitazione dei percorsi territoriali attraverso cui si realizza la medicina di prossimità. È un po’ il ruolo di facilitatore di processi, il case manager che si reca a casa del paziente, che ne conosce la storia clinica e lo guida nel percorso di cura e di assistenza. Risponde alla necessità organizzativa di raccordare direttamente la presa in carico del paziente con l’iper-specializzazione della medicina moderna che, con le figure specialistiche, tende sempre più a dipartimentalizzare verticalmente le professionalità.

Per quanto riguarda l’ASL Salerno, i driver di sviluppo sono centrati sulla realizzazione del modello diffuso di strutture di prossimità sociosanitarie, soprattutto nelle aree interne della provincia. Queste fungono da spoke, da derivazione diretta delle Case di Comunità. Si pensi al target fissato dal DM 77 per la realizzazione di una Casa di Comunità, cioè un bacino d’utenza di almeno 50mila abitanti. In territori come l’interno del Cilento, arrivare a quel bacino è praticamente impossibile per via del ridotto numero di abitanti e di popolazione dei Comuni che lo compongono. La negazione del concetto di prossimità, dunque, poiché una sola Struttura di prossimità sarebbe fisicamente prossima ad uno solo di quei Comuni, ma distante dagli altri 49. Ecco che il modello del DM 77, nato con lo scopo di avvicinare le cure e l’assistenza al domicilio del paziente favorendo l’appropriatezza delle strutture ospedaliere, potrebbe non funzionare in aree interne con rarefatta densità di popolazione.

 

In che modo l’ASL Salerno ha strutturato il modello per adattarlo alla realtà locale?

Abbiamo pensato ad un modello differente, “sartoriale”, disegnato sulle esigenze epidemiologiche e sanitarie di un dato territorio. Dopotutto, è sicuramente più efficace spostare i servizi, soprattutto quelli sociosanitari, che costringere le persone a ripetuti cambiamenti nelle fasi più delicate della loro esistenza (gli anziani sono il caso emblematico).

Nello specifico, l’importante cambiamento organizzativo avviato con la Missione 6 del PNRR, abbinato all’utilizzo della tecnologia, è rappresentativo delle innovazioni che il settore della sanità, congiunto alla dimensione sociale e sociosanitaria favorita dalla Missione 5 e alla Strategia nazionale per le Aree Interne, potrebbe apportare alla prossimità delle cure dei pazienti fragili, anziani e per quelli che abitano lontani dai punti di erogazione di prestazioni sanitarie e sociosanitarie. L’obiettivo della ASL Salerno è quello di realizzare strutture di prossimità alla Casa di Comunità, piccoli nodi della rete assistenziale aziendale inseriti in ognuno dei trenta paesini che abbiamo individuato per la sperimentazione.

Un lavoro istituzionale, di squadra, che vede il pieno coinvolgimento dei Comuni e delle farmacie rurali, della rete delle cure primarie, dei medici di medicina generale e della continuità assistenziale.

Strutture di prossimità in cui lavora l’infermiere di comunità, insieme agli altri professionisti territoriali, alle assistenti sociali e alle farmacie rurali dei differenti paesini coinvolti, per trasformarle in veri e propri presidi di prossimità sociosanitaria. Strutture e professionisti tecnologicamente connessi alla Casa di Comunità hub, attraverso la piattaforma di telemedicina.

Così contiamo di realizzare la presa in carico della persona con patologie croniche direttamente a domicilio, o nel luogo in cui questa vive senza bisogno che si debba spostare per ricevere prestazioni di controllo e/o di bassa intensità.

In questo modello organizzativo, l’equipe multidisciplinare opera come centrale refertante, principalmente da remoto, stabilendo la diagnosi del paziente (non potendo essere presente in tutti i comuni coinvolti) refertando gli esami diagnostici eseguiti nell’ambulatorio di prossimità. La tecnologia opera come elemento favorente per la condivisione delle informazioni tra professionisti, in maniera tale da avere in comune il pregresso e la storia clinica del paziente, per un miglior orientamento all’interno del percorso di assistenza e cura, a favore anche di una migliore aderenza alle terapie e un maggior coinvolgimento attivo ed engagement della persona nella cura.

 

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