Dal 7 ottobre il Segretario di Stato USA si è recato ben quattro volte in Israele. L’essere ebreo rende Antony Blinken naturalmente solidale con quel paese. E d’altronde Israele è diverso dagli occasionali alleati d’America, è parte del dibattito politico interno al punto che il Presidente ha subito schierato una flotta formidabile a difesa del paese e delle basi americane nel Golfo. Il messaggio è chiaro: chi attacca Israele attacca gli Stati Uniti. Lo capisce il capo di Hezbollah in Libano: si schiera con Hamas, minaccia i nemici, non interviene se non con scaramucce di confine.
Nella dirigenza americana si profila la consapevolezza che il Primo Ministro è stato abile persino nello schivare le responsabilità immediate della crisi. Responsabilità per negligenza o per avere delegittimato parte dell’apparato di sicurezza con una riforma giudiziaria che molti membri di quell’apparato giudicavano perniciosa per la democrazia? Il Primo Ministro è stato infatti abile nello schivare le dimissioni per costituire un Gabinetto di guerra con il rivale più accreditato, Binyamin Benny Gantz.
Gantz è stato Capo di Stato Maggiore della Difesa, dell’ambiente militare conosce gli umori profondi, è in grado di spingere l’improvvisata coalizione verso la vittoria. La vittoria, appunto, sul terreno, l’esito del conflitto è prevedibile data la sproporzione delle forze. Dopo la guerra bisogna vincere la pace. Una pace o comunque un accomodamento con la parte palestinese è essenziale. Si può sradicare Hamas con una campagna senza tregua, non si può sradicare il malcontento profondo di una popolazione che si sente violata nei diritti essenziali. L’odio continuerebbe a covare e si appresterebbe ad esplodere alla prima utile occasione.
Per Washington l’attuale Primo Ministro ha esibito la totale noncuranza delle esigenze della controparte. Ha farcito il suo ultimo Governo di elementi della destra estrema, quelli ritengono di avere un diritto divino sulla terra del Grande Israele e non nascondono l’aspirazione a liberarsi di tutti gli Arabi, anche quelli con cittadinanza israeliana.
Urge una nuova leadership in Israele, in un processo simmetrico rispetto all’Autorità Palestinese. Nel cerchio della vecchia opposizione di centro-sinistra, il solo Gantz ha accettato di entrare nel Gabinetto di guerra e mettere la sordina alle riserve sulla politica di Netanyahu. Yair Lapid, il precedente Primo Ministro, è rimasto fuori. Attende che arrivi il suo turno in quanto elemento idoneo ad un rapporto costruttivo con i Palestinesi e con la parte dell’elettorato interno che si sente tradito dalla deriva autoritaria del Likud e degli alleati.
C’è una sfasatura fra i fatti militari ed i fatti politici. La battaglia continua con il suo bagaglio di strazi umani. La diplomazia opera dietro le quinte per dare un futuro ad una Terra ripiegata sul passato: dal passato biblico all’ottomano.
Il Presidente turco Recep Erdogan, memore dei fasti peraltro discutibili dell’Impero Ottomano, si propone come mediatore della contesa. Il ruolo del mediatore gli aggrada, sta giocando la stessa carta nella crisi russo-ucraina. Per dare credibilità al ruolo dichiara che Hamas difende certi legittimi interessi e richiama per consultazioni il proprio Ambasciatore a Tel Aviv.
Al Parlamento europeo il Gruppo dei Conservatori e Riformisti europei (ECR: European Conservatives and Reformists Group) è la famiglia politica di Fratelli d’Italia. Il Likud di Netanyahu è un partito terzo associato all’ECR. Il rapporto della Presidente Giorgia Meloni con Netanyahu è cordiale, a lui si rivolse subito dopo la vittoria elettorale del 2022. Un partito sospettato di neo-fascismo necessitava la liberatoria circa i trascorsi anti-semiti delle Leggi razziali. Il leader israeliano era la persona giusta per rilasciare la certificazione.
di Cosimo Risi
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