In novembre si vota per le presidenziali americane. La competizione è di gran lunga la più importante e la più incerta. Joe Biden sta basso nei sondaggi: a livello di Jimmy Carter, il solo Presidente democratico ad avere mancato il secondo mandato. Donald Trump vola alto, la sua corsa è però rallentata dai processi.
Si diceva della probabile vittoria di Putin. La guerra non ha il rapido esito dell’attesa e l’esitazione del Presidente è criticata dagli ultranazionalisti. Continua a giocare a suo favore il coacervo di nazionalismo pan-russo e di alleanza con la Chiesa ortodossa. Le risorse naturali pressoché illimitate hanno indebolito l’efficacia delle sanzioni internazionali. E d’altronde, da ottobre, l’attenzione del mondo è volta al Medio Oriente, il Donbass occupa la seconda linea mediatica, la parabola di Volodymiyr Zelenskyj cala.
In giugno, per la prima volta, l’Unione elegge il Parlamento europeo senza i Britannici, sarebbe lecito sperare in un alto tasso di europeismo. La bandiera del sovranismo ne risente di conseguenza. La vittoria di Donald Tusk in Polonia sposta la barra verso l’ortodossia europea e così la conferma di Pedro Sanchez in Spagna a danno di Vox. In trincea resiste il sovranismo di destra dell’Ungheria di Orbàn, ora con il sovranismo di sinistra della Slovacchia di Fico.
Fratelli d’Italia trova gli alleati naturali meno incisivi di prima. Il blocco di popolari, socialisti democratici, liberali dovrebbe risultare vincente alle elezioni. Fino a rendere il gruppo conservatore e riformista (ECR con Fratelli d’Italia) irrilevante nello scegliere i vertici delle istituzioni? Se le urne confermeranno i sondaggi, la nuova Commissione sarà di nuovo presieduta dalla popolare Ursula von der Leyen. A chi andrà la presidenza del Consiglio europeo? E’ plausibile la candidatura di un italiano fra Enrico Letta e Mario Draghi?
Nel 2023 dovrebbe essere approvata la riforma del Patto europeo di stabilità e crescita. Sembra scartato il ritorno al vecchio Patto con le sue rigidità, la stessa Germania propende per la riforma. Non sarebbe la finanza allegra che alcuni stati membri auspicherebbero, ci sarebbe un rientro graduale dall’indebitamento con soluzioni della Commissione caso per caso.
Il punto in agenda è l’autonomia strategica europea. La guerra in Ucraina ha rilanciato la NATO, le adesioni di Finlandia e Svezia sono un segnale eloquente, si sottolinea così la dipendenza europea dall’ombrello americano. Questa condizione può durare nel tempo? E se Trump, di ritorno alla Casa Bianca, chiede di nuovo agli Europei di farsi carico della loro sicurezza?
Il conflitto in Ucraina è ancora aperto, si ipotizza una conferenza di pace per il 2024, è poco credibile che si abbiano risultati tangibili prima di novembre. Il fronte mediorientale è incandescente, si attende la fine delle ostilità fra Israele e Hamas per mettere mano ad un assetto della Regione in termini di cooperazione. Con la soluzione due popoli – due stati? Con un’Autorità Palestinese rinnovata che amministri anche Gaza?
A San Francisco il colloquio fra Joe Biden e Xi jinpeng è stato all’insegna del sorriso. Di circostanza o per l’autentico avvicinamento fra le parti? “Siamo rivali, non nemici”: così il Presidente cinese agli industriali americani nel chiedere loro di non disinvestire e, anzi, di investire di più nella Repubblica Popolare.
E Taiwan? L’America spera che non si apra il fronte indo-pacifico. Intervenire in tre scacchieri di crisi sarebbe decisamente troppo. Washington vagheggia di lasciare all’Europa la responsabilità del fronte orientale. Solo che l’Europa mostra di non volerla.
Giuseppe “Peppe” De Cicco, già medico chirurgo al Ruggi, compagno di scuola, ci seguiva per la curiosità verso i fatti del mondo. Non ci leggerà più. In memoria.
di Cosimo Risi
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