“Ri-incontrare tra note, quali quelle di questo dittico – ha affermato il Maestro Jacopo Sipari di Pescasseroli – formato da Suor Angelica, titolo pucciniano al quale sono molto legato e Cavalleria Rusticana, opera iconica di un giovane Pietro Mascagni, i miei allievi, che ho visto e aiutato a crescere sia tecnicamente che psicologicamente, è qualcosa che mi emoziona e mi responsabilizza maggiormente.
Riguardo Suor Angelica oltre la altissima e preziosa scrittura che Puccini vi rivela, un cimento non certo semplice per tutti questi strumentisti e cantanti ancora studenti, ci si pone innegabilmente dinanzi ad una riflessione sulla religiosità in Puccini, personaggio dai mille volti, del quale si è sempre inteso prevalentemente accentuare la dimensione materiale, intenzionalmente ponendo in sordina quella trascendente e spirituale.
Vi è a questo proposito un’immagine eloquente di Puccini, Mascagni e Titta Ruffo, commossi dinanzi alla bara di Leoncavallo. La morte degli amici artisti gli ricordava certamente come “sic transit gloria mundi”. Sono impressioni di dolore e di tristezza per la vita che passa e cessa, che da sole, però, non bastano a sostenere che anche nel grande Maestro vi fosse uno spirito religioso, ma in tutte le dodici opere, se si analizza bene la partitura, c’è qualcosa che supera il contingente e fa pensare ad una dimensione più vasta.
Le suore sono tutte allieve del magistero di canto e sono state poste accanto ad un soprano del calibro di Amarilli Nizza, che avrà il doppio ruolo di Suor Angelica e Santuzza, in un dittico che registicamente porta la firma di Riccardo Canessa. Cavalleria Rusticana è, invece, titolo amatissimo, scrittura che dichiara per intero l’urgenza espressiva del giovane Mascagni.
Un’opera tradizionale Cavalleria ma, a suo modo eversiva, per la sua eterogeneità dei modelli e l’imperfetta fedeltà ad ognuno di essi. Anche qui cast con nomi altisonanti e un tenore del calibro di Amadi Lagha, premiato nell’anno celebrativo con il Caruso Tribute Prize New York, per l’eccellenza della sua voce, generosa, dallo squillo persistente e possente, senz’ombre e sicuro in ogni situazione, certamente una palestra per i ragazzi, i quali avranno punti di riferimento d’eccezione e di confronto in tutti i protagonisti”.
Un lavorìo infinito e su più fronti quello del maestro abruzzese, che avendo la direzione artistica del teatro dell’Opera di Tirana, ha in contemporanea, dall’8 all’11 di dicembre, una produzione importante, che inaugura l’anno del settantesimo compleanno del teatro appena celebrato attraverso la portentosa ondata sonora della IX di Beethoven, con la Carmen di George Bizet, affidata alla bacchetta di Dian Tchobanov e alla regia di Giandomenico Vaccari. Un verismo letto in due diversi modi di angolare il proprio vedere.
In Suor Angelica l’ esercizio stilistico e l’angolazione sperimentale muovono da una scelta e da una tinta senza precedenti nel melodramma, una sfida, degna di quelle raveliane, all’idea data di teatro musicale: un lavoro tutto al femminile, fra soprani (la protagonista e le sorelle più giovani), mezzosoprani (in genere le suore che incarnano l’autorità) e – lo scarto timbrico e vocale più netto – un contralto, la crudele Zia Principessa, cartone preparatorio di Turandot, diciotto personaggi, tutti importanti. Ulteriore presa di distanza dalla tradizione è il modo di sceneggiare la vicenda in sette episodi, pannelli o stazioni, come una via Crucis.
Siamo a fine Seicento in un monastero con il canonico agglomerato di chiesetta, chiostro, orto, fontana e cimitero. Una giovane suora, che era stata costretta ai voti dopo un amore colpevole, si avvelena una volta appreso che il figlio, nato da quella relazione, è morto. Sentendosi dannata, implora il perdono della Madonna e, negli ultimi istanti, come per miracolo, vede la Vergine venirle incontro e porgerle il figlio che aveva visto e baciato una volta soltanto.
Passionalità estroversa, con infiammati sbocchi nel registro acuto; languore sentimentale, che inzuppa di melodie per gradi congiunti il vecchio recitativo, partecipazione stretta dell’armonia e del timbro strumentale alla coloritura e sottolineatura del discorso vocale; poca varietà nelle forme, che distinguevano l’opera italiana tradizionale; decisa propensione per soggetti in cui il colore locale, regionalistico, procuri storie violente, magari sordide e truci, di ceti sociali molto modesti, questa è Cavalleria.
Nell’opera di Mascagni, l’episodio d’amore e tradimento, con delitto d’onore, viene immerso in pagine corali, religiose e folcloriche, anche i soli attingono a riferimenti canzonettistici e le romanze da salotto si adagiano sul popolare.
Grandi meriti di Mascagni furono di salvare la freschezza dell’insieme, la cantabilità generosa e spontanea, senza allontanarsi dal dramma neppure nei momenti decorativi, e se questi ci sono, con valore autonomo, hanno l’autorità di fare spettacolo. Infatti, come in tutte le opere licenziate da scuole nazionali di fine secolo, la pittura di paesaggio, d’ambiente, è assai curata, sebbene non vi sia di necessità folclore autentico quanto, piuttosto, libere invenzioni e attribuzioni.