Nel passato ci sono state grandi personalità politiche, penso a Giulio Andreotti, che a fronte di satire anche feroci rispondeva con un sorriso e con una frase: “Chi fa politica deve temere solo una cosa: quella di essere dimenticato”.
Per questo, anche di fronte alle vignette e alle satire più feroci, Andreotti non ha mai pensato di lamentarsi o addirittura di querelare, anche se alcune vignette lo hanno davvero indignato, come quando Forattini lo ritrasse, allora Ministro degli Esteri, con una coppola da mafioso.
Ciò non impedì, in una trasmissione televisiva, l’incontro tra i due, che si concluse con un sorriso di Forattini di fronte all’impluvio ironico di Andreotti, che chiuse: “Anzi, mi fa un piacere, mi fa le orecchie ancora più larghe di quelle che ho, la testa ancora più grossa. Quindi mi consola, quando mi guardo allo specchio vedo un’immagine migliore”.
A dieci anni dalla morte, l’Istituto Luigi Sturzo ha organizzato la mostra “L’insostenibile leggerezza dell’estero: Satira politica 1950-1991”, in cui sono esposte ben 130 vignette che riguardano in gran parte proprio la politica estera di Andreotti. Proprio per questo, il Divo Giulio non verrà dimenticato, al contrario di quanto irrimediabilmente accadrà con gli attuali Ministri.
Invero, la satira a volte crea replicanti che si confondono con il vero personaggio. E’ il caso di Maurizio Crozza con De Luca, il quale, scherzando con la solita intelligenza, ha detto alla Festa de Il Foglio: “Crozza è un malvivente, mi ha rovinato la vita”. Il Presidente della Regione Campania resta, però, ben consapevole che buona parte del successo riscontrato, anche a livello nazionale, lo deve anche alla continua imitazione del comico e alle sue battute.
Quello che però sconcerta è l’attuale scivolare della satira politica verso le oscenità, cui segue la scomparsa di quello che definisco “pensiero nobile”: la politica finisce per ridursi in battute feroci sugli avversari o in frasi ad effetto che, sia pure inducano al sorriso, non hanno alcun concreto contenuto.
Allora, a parte la ovvia difesa della satira come libera manifestazione artistica del pensiero, bisogna distinguere tra satira e politica, altrimenti si finisce per incoronare “re” qualche saltimbanco, e gli esempi non mancano nel recente panorama.
Recuperare il senso della politica significa innanzi tutto portarla fuori dalle sacche, pure avvincenti, del cabaret televisivo e ricostruire un tessuto di idee capaci di “governare” l’esistente. Classi dirigenti degne di questo nome, composte da quel reticolo di donne e uomini di buona volontà, che fanno andare avanti il Paese ogni giorno, e che trasformano le paure in speranza o lo scoramento in combattimento, hanno bisogno di una politica idonea ad invertire la pericolosa tendenza al declino. Per fare questo non possiamo più ricorrere al cabaret, ma bisogna smettere di pensare in termini individuali e comportarci come comunità, cioè costruire insieme il nostro futuro.
Giuseppe Fauceglia
Nel suo finale è la chiave del problema: la politica e la gente devono smettere di pensare di operare solo per il proprio benessere, ma soprattutto operare al meglio delle proprie capacità per il benessere di tutti. L’apprezzamento e il riconoscimento degli altri e non certo l’arricchimento, sono il miglior premio per l’ autostima dell’individuo. La miope visione di operare esclusivamente per proprio tornaconto, magari danneggiando in tal modo gli altri porta all’ odio sociale e al regresso della società. La satira politica è un utile strumento per portare alla luce le incongruenze, le cialtronerie, le carenze e i difetti dei politici in modo da sorridere invece di mettersi le mani nei capelli. Saluti.