Alla fine del XVIII secolo, epoca di rivoluzioni in Francia e in America, il filosofo tedesco Immanuel Kant scrive il libretto La pace perpetua: il manifesto del cosmopolitismo. L’impianto è pessimistico circa la natura degli uomini e degli stati nei quali le comunità si organizzano.
Nel XX secolo, nel carteggio con Albert Einstein, Sigmund (Sigismund Schlomo) Freud torna sull’argomento con pari pessimismo. Lo psicanalista ed il fisico convergono su un punto: la natura umana spinge verso l’ostilità, le relazioni internazionali sono intessute di ostilità, solo un sistema di regole condivise può imbrigliarla.
Sia Freud che Einstein, ebrei, lasciarono l’Europa continentale per le persecuzioni razziali, il primo dall’Austria alla Gran Bretagna, il secondo dalla Germania agli Stati Uniti. La loro fuga la dice lunga circa il nostro impoverimento culturale a favore della cosiddetta anglosfera, l’universo anglofono.
Freud muore nel 1939, a guerra appena scoppiata, Einstein nel 1955. Il suo percorso è singolare. Incoraggia la ricerca americana della bomba atomica, prende le distanze quando viene sganciata sulle città giapponesi, contribuisce alla creazione dello Stato d’Israele di cui però rifiuta la presidenza. Già nei Venti, avverte che in Germania monta l’antisemitismo, la minaccia alla “tribù” (così la chiama) cui sente di appartenere per affinità biologica, non religiosa. Non frequenta infatti la sinagoga né esibisce la kippah. A proposito dei primi insediamenti ebraici in Palestina scrive: “Sono felice che ci sia un piccolo fazzoletto di terra sul quale i nostri confratelli non siano considerati stranieri”.
L’influenza di Kant scorre nel pensiero laico come quello di Einstein. Per il filosofo, la pace non esiste in natura se non come sospensione temporanea delle ostilità. Si tratta di rendere permanente la sospensione. Bisogna operare sugli stati e limitarne la sovranità assoluta. Gli stati senza freni esterni tendono al protezionismo economico, il protezionismo economico prelude al nazionalismo politico e, fatalmente, all’affermare gli interessi nazionali con la guerra.
Con i moderni armamenti, la guerra è di distruzione di massa: fino al “cimitero dell’umanità” (l’espressione è di Kant). Occorre limitare il potere assoluto dello stato con un sistema di regole a responsabilità delle parti. Gli stati accettano di limitare il loro potere sovrano grazie ad un sistema internazionale di regole. Solo così si può passare dal diritto di guerra al diritto alla pace.
Le organizzazioni internazionali nascono da questa esigenza. La prima consacrazione è nella Società delle Nazioni (SdN) alla fine della Prima Guerra Mondiale. L’idea si consolida nel secondo dopoguerra con l’Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU). Il progetto si concretizza a livello regionale con il processo d’integrazione europea. E’ una certa idea d’Europa a permeare la Dichiarazione Schuman (1950).
Dalla dissoluzione dell’Unione Sovietica (1991) la guerra globale sembrava uscita dall’orizzonte. Nel 2022 la Russia l’ha rievocata per sostenere l’aggressione all’Ucraina: come minaccia all’Occidente se stesse per intervenire direttamente al fianco di Kiev. L’uso della bomba nucleare tattica avrebbe effetti devastanti, ben oltre la sua portata sul terreno.
E qui interviene il paradosso post-nucleare di Einstein. La terza guerra mondiale sarebbe l’ultima possibile. Per effetto delle armi di distruzione di massa, una quarta guerra mondiale andrebbe combattuta con l’arco e le frecce.
Il film Mad Max Beyond Thunderdome (1985) trasforma il paradosso di Einstein in visione distopica del futuro post-nucleare. Sotto la cupola del tuono, la gabbia in cui l’umanità si rinchiude per assistere ai giochi, il lacero eroe Mel Gibson ascolta la Regina Tina Turner cantare We Don’t Need Another Hero. La figura dell’eroe è legata alla guerra. Il coro dei giovani spettatori intona: We don’t need another hero, non abbiamo bisogno di un altro eroe, tutto ciò che vogliamo è la vita oltre la cupola del tuono.
Continua.
di Cosimo Risi