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Una certa idea d’Europa – parte seconda (di Cosimo Risi)

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All’inizio dei Cinquanta, Jean Monnet, un costruttore d’Europa, chiarisce ai riluttanti britannici il senso della Dichiarazione Schuman (1950).

La Gran Bretagna diffida della costruzione comunitaria. E dire che Sir Winston Churchill, non più Primo Ministro, ha appena evocato gli Stati Uniti d’Europa nel celebre discorso all’Università di Zurigo (1946). Gli Stati Uniti d’Europa, per Churchill, sono il modello istituzionale per risarcire i danni delle due Guerre civili europee del XX secolo e recuperare il senso smarrito della civiltà continentale.

Monnet spiega che la Dichiarazione Schuman sta “nella delega di sovranità in un campo limitato, ma decisivo… La cooperazione fra nazioni, per quanto importante, non risolve alcunché”. Non bastano le operazioni diplomatiche che hanno portato a creare il Consiglio d’Europa e l’OECE (oggi OCSE), occorre “una fusione degli interessi dei popoli europei, e non semplicemente il mantenimento dell’equilibrio di questi interessi”.

Sovranazionalità e prospettiva federale sono l’essenza del metodo comunitario per superare il metodo intergovernativo. Il metodo intergovernativo è volto a conservare l’equilibrio degli interessi. Il metodo comunitario induce a ricalcolare gli interessi nazionali a favore di un interesse europeo.

Il passaggio dal momento nazionale al momento europeo, già chiaro all’epoca, si ripropone nelle schermaglie politiche a Bruxelles. Alla vigilia del Consiglio europeo ciascuna delegazione dichiara che va a tutelare l’interesse nazionale lungo linee rosse insuperabili.  La dichiarazione trova l’eco nella opposta dichiarazione delle altre delegazioni, di modo che il vertice è atteso come una sorta di partita di calcio. Sull’esito i commentatori daranno i voti ai delegati come fossero calciatori, individuano inevitabilmente il vinto e il vincitore. Il vinto perde prima a Bruxelles e  poi in casa dove sconta il biasimo degli elettori.

La realtà della diplomazia multilaterale è ostinata, persino i delegati più bellicosi giocano il gioco e si ritrovano nella confidenza anche personale con gli altri. Una stretta di mano, un abbraccio, un ammiccamento, un brindisi sveleniscono la tensione. C’è chi, nei corridoi, si adopera per il famoso compromesso. Che sarà al ribasso, come fatalmente notano i media, ma serve ad andare avanti. Il compromesso non è segno di debolezza ma di fiducia nella vitalità dell’organizzazione. E’ la regola d’ingaggio di una comunità che vuole restare unita.

Il mandato della Commissione von der Leyen sta per concludersi con un bilancio sorprendente. La stessa Presidente, in Germania una figura di secondo piano rispetto a Angela Merkel, non avrebbe immaginato le decisioni epocali che è stata chiamata a proporre e prendere con il consenso dei Ventisette.

Si consuma il recesso britannico. L’Unione s’indebita per la prima volta per finanziare Next Generation EU. Sostiene militarmente e finanziariamente l’Ucraina. Diversifica gli approvvigionamenti di energia dopo che il gas russo è stato chiuso per le sanzioni. Affronta l’inflazione montante con l’aumento dei tassi d’interesse da parte della BCE ma non genera recessione. Si misura con l’aggressività cinese. Teme il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca e lo sganciamento dall’Europa. Cerca rimedi alla crisi migratoria.

Il compito della Commissione non è stato mai facile. Alcuni stati membri, sistematicamente l’Ungheria e la Polonia fino all’avvento di Donald Tusk, hanno marciato contro. A volte per convenienza di bottega: è probabile che la riserva di Victor Orbàn sul via libera all’Ucraina sia superata appena l’Unione sblocca il pacchetto di aiuti a Budapest. A volte per questioni di principio, per  il feticcio del sovranismo.

Un certo sondaggio dà il gruppo  Europa delle nazioni e delle libertà (Rassemblement National, AdF, Lega, eccetera) come il terzo al prossimo Parlamento europeo, dietro a Popolari e Socialisti e Democratici. Non così numeroso da determinare le decisioni, ma tale da imprimere una svolta. In direzione opposta a quella preconizzata da Monnet.

Sarebbe il grande ritorno all’interesse nazionale come misura della partecipazione all’Unione. L’Unione europea diverrebbe un litigioso condominio dove il condomino  rissoso  disturba i condomini tranquilli finché quelli si trasferiscono altrove. In Europa non esiste un credibile altrove per gli stati membri.  L’Unione è un  destino oltre che una scelta.

Continua.

di Cosimo Risi

 

 

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