Fino a cento volte in più rispetto al passato e molto più di quanto non si riscontri nell’acqua di rubinetto. Nulla di percepibile all’occhio umano.
La ricerca, pubblicata sulla rivista Pnas (Proceedings of the National Academy of Sciences, organo ufficiale della National Academy of Sciences), ha dato la stura ad un ampio dibattito.
Le analisi di laboratorio, effettuate con strumenti di ultimissima generazione, hanno individuato da un minimo di 110 mila a un massimo di 370mila particelle di plastica. Si tratta in larga parte di nanoplastiche, riconducibili a sette tipologie differenti.
Tra queste, come ci si poteva attendere, figurano quantità significative di Pet – il polietilene tereftalato – utilizzato su larga scala per imbottigliare il 70% delle bottiglie per bevande e liquidi alimentari di tutto il mondo.
A sorpresa, più presente del Pet è risultata la poliammide, una classe particolare di nylon speciali che paradossalmente secondo Beizhan Yan – coautore dello studio e chimico ambientale al Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University – potrebbe derivare dai filtri di plastica utilizzati per purificare l’acqua prima dell’imbottigliamento.
E ancora: polistirene, polivinilcloruro e polimetilmetacrilato, materiali utilizzati nei processi industriali. E l’incognita di un’alta percentuale (circa il 90%) di nanoparticelle che i ricercatori non sono stati in grado di identificare.
Insomma, quanto basta per accendere i riflettori su un grande business mondiale, proprio mentre la presenza di micro e nano plastiche viene certificata un po’ ovunque, negli ecosistemi; persino in Antartide. Stavolta però il rischio è di ingerirle direttamente, non attraverso la catena trofica degli ecosistemi dai quali preleviamo il nostro cibo. Tra acqua e bevande varie, con il +100% delle vendite in 10 anni – dal 2009 al 2019 – l’Italia è tra i principali consumatori di bottiglie di plastica.
Tuttavia, da più parti si invoca prudenza; la stessa Organizzazione Mondiale della Sanità, a margine di un ampio studio pubblicato nel 2019, aveva già frenato sul legame fra microplastiche e nanoplastiche e salute umana, suggerendo la necessità di nuove ricerche.
Quanto invece alla produzione globale di plastica, non sembra conoscere crisi: si è passati dai 2 milioni di tonnellate negli anni ’50 agli oltre 400 del 2022.
di Tony Ardito
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