La Corte è composta di 17 giudici, 15 di nomina ONU e 2 di nomina delle parti. La base giuridica è la Convenzione sulla prevenzione e la repressione del genocidio, firmata a Ginevra nel 1951. Le sue sentenze sono cogenti e inappellabili, la loro applicazione è sostanzialmente affidata alla buona volontà della parte soccombente.
Una sentenza potrebbe essere emessa nel giro di settimane. Israele sconta una valutazione sfavorevole a vari gradi. Dal riconoscimento del genocidio all’ingiunzione a consentire gli aiuti umanitari a Gaza, a fare rientrare i civili nella zona nord, ad accettare il cessate il fuoco.
La battaglia si combatte in aula e nella piazza mediatica. La narrazione palestinese penetra presso ampi settori dell’intellighenzia occidentale, le grandi Università americane fanno scuola. L’argomento principale è che a Gaza si sta consumando un disastro umanitario se non un tentativo di genocidio.
Fra i capi d’accusa, la delegazione sudafricana presenta le reboanti dichiarazioni di alcuni membri del Governo israeliano nonché l’enfasi con cui il Primo Ministro si è rivolto alle truppe. Netanyahu richiama Amalek, la maledizione biblica che torna a minacciare il popolo ebraico di distruzione. Dalla tradizione, i discendenti di Amalek, gli Amaleciti, attaccarono proditoriamente gli Ebrei in fuga dall’Egitto. Da allora simboleggiano il male.
La narrazione israeliana enfatizza che il 7 ottobre 2023 si è consumato il maggiore massacro di Ebrei dopo la Shoah. In un messaggio sui social, Netanyahu dichiara che la guerra è contro Hamas e non contro i Palestinesi. Questi possono restare a Gaza purché l’ambiente sia “smilitarizzato e politicamente de-radicalizzato”. Sulla rete gira il documentario sulle atrocità di Hamas durante l’assalto ed a danno degli ostaggi.
La Convenzione sul genocidio fu adottata sulla scorta della Shoah perché non si ripetesse una “soluzione finale” a danno di un popolo. Quella Convezione è ora richiamata contro Israele che di quel popolo si considera la casa eletta.
Molte personalità nello Stato richiamano al senso della misura nella controffensiva ed all’esigenza di una soluzione politica al caso palestinese. E’ l’atteggiamento del Segretario di Stato USA a conclusione della missione nella regione. I rapporti con i paesi arabi possono essere salvati, con l’Arabia Saudita la normalizzazione può proseguire, occorre che Israele accetti certe condizioni.
La crisi da Gaza si allarga al Mar Rosso, la più importante rotta commerciale verso l’Europa. Le milizie Houthi di stanza in Yemen attaccano le navi che imboccano il Mar Rosso in direzione Suez e Mediterraneo. Le aviazioni americana e britannica colpiscono le loro postazioni a terra. Le milizie Hezbollah dal Libano scagliano ordigni sul nord d’Israele, si espongono alla minaccia israeliana di replicare a Beirut quanto sta accadendo a Gaza. Si dipana una manovra a tenaglia contro Israele e gli alleati occidentali.
L’Iran manda avanti i gruppi sciiti in Libano, Yemen, Iraq, Siria. Pratica la tattica dell’attesa, saggia la reazione del nemico per valutare se intervenire direttamente. Si combatte quello che gli specialisti chiamano il conflitto asimmetrico: da una parte gli stati e dall’altra i soggetti non statuali.
In Europa si manifestano le prime conseguenze. Il prezzo del petrolio sale a misura delle minacce alle navi che lo trasportano via Suez. Il tasso d’inflazione aumenta di conseguenza.
Gli eventi toccano l’Unione da vicino. Alcuni stati membri fiancheggiano Regno Unito e Stati Uniti nelle operazioni. La Germania ribadisce che la sicurezza d’Israele è “ragione di stato”, non ammette compromessi di sorta. L’Italia, avvertita dagli alleati, solidarizza ed evita l’impegno in prima battuta.
di Cosimo Risi