La Corte riconosce il profilo di fondatezza nell’azione sudafricana, non si pronuncia per ora nel merito, respinge la richiesta di ordinare l’immediato cessate il fuoco. Intima a Israele di prevenire la commissione di atti di genocidio e di fornire l’assistenza umanitaria alla popolazione locale.
La Corte chiude così la fase preliminare del dibattimento, la sentenza potrebbe richiedere anni e presentarsi quando la situazione sul campo sarà profondamente cambiata.
Il Sudafrica non ha portato davanti alla Corte prove fattuali del genocidio, ha preferito assortire le accuse con le dichiarazioni di alcuni esponenti del Governo d’Israele, alcuni di loro evocavano scenari catastrofici a danno dei Palestinesi di Gaza. D’altro canto, Israele non ha avuto ragione nel respingere l’accusa alla radice, che cioè nessun atto genocidario sarebbe stato commesso, e deve continuare a sottoporsi al giudizio della Corte.
La Corte tace circa il cessate il fuoco, Israele si sente autorizzato a proseguire le azioni militari avendo cura, d’ora in poi, ad evitare gli eccessi, verbali e soprattutto materiali, che possano configurare il reato di genocidio.
L’ordinanza dell’Aia è interpretata a Gerusalemme come un invito alla moderazione, nella stessa direzione degli appelli che giungono dalla comunità internazionale e specie dall’amico americano. Sarebbe anche il riconoscimento al suo diritto all’autodifesa: l’operazione militare non sarebbe di aggressione ma di risposta ai fatti dell’ottobre 2023.
Nel presentare l’esito, il Presidente della Corte invita Hamas a liberare gli ostaggi e Israele a rispettare il diritto internazionale.
La cronaca si va appesantendo di dettagli orrendi, certi trattamenti inflitti agli ostaggi sono tenuti nascosti al grande pubblico per ovvi motivi e rivelati soltanto agli interlocutori istituzionali. Ne è testimone il nostro Ministro degli Esteri che, reduce dalla regione, ne accenna alla stampa a margine della cerimonia per la Giornata della Memoria. Mai ricorrenza fu più tempestiva.
La fase giurisdizionale è per il momento sospesa. Resta aperta la fase politica. Le pressioni americane si moltiplicano affinché il Governo d’Israele moderi l’azione militare e lavori al dopo: alla possibilità che i Palestinesi abbiano un loro stato, con le garanzie a tutela della sicurezza dello stesso Israele. Le risposte del Premier Netanyahu sono reticenti se non negative. Irritano il Presidente Biden e lo mettono in difficoltà con la base democratica, sempre meno propensa ad assecondare Israele in tutti i passaggi.
Non sono soddisfatte le famiglie degli ostaggi, temono a ragione lo stillicidio delle vessazioni e delle uccisioni. Non sono soddisfatte le opposizioni alla Knesset. Scalpitano alcuni membri del Gabinetto di guerra come gli ex generali Benny Gantz e Gadi Eisenkot.
La protesta che invadeva le strade di Tel Aviv contro la riforma giudiziaria è ora la protesta contro la prosecuzione delle ostilità. Il verbo è addivenire ad un compromesso con la controparte per fermare gli eccidi e liberare gli ostaggi. Dal Qatar qualche segnale di apertura si registra. E’ presto per dire se sia determinate in una vicenda tragica per tutti.
di Cosimo Risi