Un contributo per una riflessione più organica sul tema è venuto dalla lettura del libro di Roberto Esposito, “Pensiero istituente: tre paradigmi di ontologia politica”, edito da Einaudi, in cui si trovano pagine interessanti sulla necessità di ristabilire un rapporto effettivo tra scelte politiche e corpo elettorale.
Questo resta un tema tipico della fenomenologia della diseguaglianza: ad esempio, un parlamentare dal Nord paracadutato al Sud vota in favore della autonomia differenziata (a prescindere da ogni valutazione che può darsi sulla stessa), ma in tal modo finisce per “tradire” gli interessi del territorio in cui è stato eletto, introducendo così una diseguaglianza di sovranità tra l’elettore del Nord e l’elettore del Sud. In tal caso il sistema democratico elettorale crea una evidente diseguaglianza tra gli elettori, che esplode nell’antinomia tra rappresentanza e sovranità.
Mi pare che uno degli strumenti per evitare che la liberal-democrazia si trasformi in un regime chiuso e diseguale sia la riforma del sistema elettorale. Sino ad oggi ogni volta che la legge elettorale è stata modificata per creare uno svantaggio all’avversario politico, abbiamo assistito (come per il Porcellum e il Rosatellum) ad una sorta di eterogenesi dei fini, che ha prodotto la delegittimazione di partiti ed istituzioni.
Quando Giovanni Giolitti, all’inizio del Novecento, accettò la scelta del proporzionale, in luogo del precedente sistema maggioritario, con elettorato attivo e passivo ristretto, lo scopo dell’intento difensivo era quello di ostacolare l’ascesa di socialisti e popolari; ma i successivi eventi conseguenti alla crisi degli anni successivi alla prima guerra mondiale, ne ha reso evidenti i limiti.
Senza entrare nella storia, pure interessante, del sistema proporzionale (Michele Magno “La Legge del voto”, su “Il Foglio” 11-12 giugno 2022), bisogna ricordare che il suo tramonto in Italia è ascrivibile al tracollo repentino della Prima Repubblica sotto la scure del populismo giudiziario, nonché alla necessità di porre rimedio alla eccessiva frammentazione partitica e ai conseguenti fenomeni di ingovernabilità. Ciò ha consentito a Giovanni Sartori di ritenere che “la proporzionale è la fotografia della frammentazione dell’esistente nei partiti”.
Bisogna, però, riconoscere che l’attuale sistema maggioritario non ha eliminato né la moltiplicazione dei partiti (basta guardare la dimensione della scheda elettorale) né la instabilità (se è vero che negli ultimi undici anni, antecedenti al Governo Meloni, il risultato delle urne ben poco è stato rispettato) né ha contribuito ad eliminare o restringere fenomeni di inquinamento della politica.
Piuttosto abbiamo assistito impotenti ad una classe parlamentare imposta dai vertici di partito, senza alcun reale collegamento con il territorio, con una conseguente perdita sia di autorevolezza politica che di rappresentatività.
Si tratta, allora, di ripensare alla legge elettorale introducendo il sistema proporzionale con una soglia di sbarramento, con liste cc.dd. aperte (pari cioè al numero di parlamentari da eleggere nella circoscrizione) alla Camera, mentre al Senato potrebbe essere valorizzato il criterio della proporzionalità corretta. In entrambe le ipotesi, però, occorre ristabilire una regola primaria, quella della rappresentatività, che deve tener conto del legame tra eletto e territorio, ponendo fine, per legge, alle candidature multiple e al turismo elettorale, che ci obbliga a scegliere, a volte, persone che non voteremo neppure nel nostro amato condominio.
Giuseppe Fauceglia
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