Questo l’incipit delle Conclusioni del Consiglio europeo del 1° febbraio 2024. Il sentito omaggio a Jacques Delors serve a misurare la distanza fra la statura del personaggio e la modestia della situazione odierna.
La piccola Comunità-Unione del periodo Ottanta-Novanta, e cioè prima della grande ondata delle adesioni Duemila, era animata dalla personalità di Delors, dal suo impegno a dare un nerbo politico all’organizzazione tramite l’Unione Politica e l’Unione Economica e Monetaria.
Nacque il Trattato di Maastricht e, con esso, l’Unione europea a sistematizzare la politica estera, di sicurezza, di difesa. Bisognava ridefinire il ruolo europeo sulla scena internazionale, dopo l’evento epocale della dissoluzione dell’Unione Sovietica. Veniva meno il nemico storico, si allentava il raccordo con gli Stati Uniti che da quel nemico difendevano l’Europa. L’Unione doveva navigare in mare aperto e con gli strumenti di bordo.
La grande intuizione di Delors fu di dotare l’Unione della strumentazione astrattamente idonea allo scopo. Rafforzarla all’interno con il mercato unico e la moneta comune per proiettarla verso l’esterno. Una strumentazione astratta: in concreto molti atti avrebbero dovuto seguire. Gli atti non sono seguiti con coerenza, nelle amare considerazioni dell’ultimo Delors.
Mentre a Bruxelles i Ventisette discutono di prospettive finanziarie pluriennali, il complesso delle spese e delle entrate a venire del bilancio europeo, i trattori bloccano la città con una manifestazione eclatante quanto lercia. L’Avenue Louise, la via dei bei palazzi, è lordata dal letame. A sconciare l’eleganza delle architetture con la materialità del lavoro contadino. A rammentare che l’agricoltura resta il primo settore economico e che, attorno alla politica agricola comune, si cementò la Comunità delle origini.
La Comunità di Delors viaggiava con il freno tirato dal Regno Unito di Lady Margaret Thatcher. Le sue pretese per il rimborso britannico, Londra versava alle casse comunitarie più di quanto ne riceveva, furono al centro di negoziati estenuanti e di rancori anche personali. Era nota la scarsa simpatia che correva fra Thatcher e Delors, a rinverdire i vecchi dissapori fra Francesi e Britannici.
Ora la leva del freno è in mano a Viktor Orbàn. E già questo dà il senso della distanza fra i tempi. L’Ungheria appartiene alla penultima serie di ingressi nell’Unione (2004). Durante i negoziati di adesione era considerata la nazione più avanzata del fronte orientale. Già il precedente regime comunista si distingueva per un approccio moderato ignoto agli altri paesi.
Con il partito Fidesz al governo, Budapest cambia atteggiamento e si pone alla testa dello schieramento sovranista. Avversa le decisioni comuni in omaggio all’interesse nazionale, da perseguire sempre e comunque. Salvo acconciarsi alla volontà maggioritaria nello scambio di favori: ottenere le sovvenzioni che spettano all’Ungheria che sono state sospese a titolo di sanzione per i comportamenti eterodossi in materia di diritti.
Lo sblocco degli aiuti all’Ucraina inscena il solito copione della riserva iniziale della delegazione ungherese, sospettata dalle altre di essere filo-russa in quanto contraria a sostenere l’Ucraina. La riserva cade grazie alla mediazione degli amici di Ungheria, fra cui la delegazione italiana, ed all’argomento fondamentale che il suo assenso sarebbe risarcito. Un compromesso politico-finanziario.
Il Consiglio europeo può così approvare il pacchetto di 50 miliardi di Euro da versare in scadenze pluriennali, di cui 17 sotto forma di sovvenzioni e 33 di prestiti. Il ringraziamento del Presidente ucraino è immediato, come pure il sollievo del Presidente americano.
Joe Biden non riesce a farsi autorizzare i nuovi aiuti dal Congresso. Negli USA si vota in novembre. La componente repubblicana al Congresso vuole mettere in difficoltà il Presidente uscente, e probabile candidato democratico, per favorire il rivale repubblicano, probabilmente il Donald Trump di ritorno.
Al Medio Oriente le conclusioni del Consiglio europeo dedicano un passaggio rituale. In Medio Oriente accade di tutto, ora c’è la reazione americana agli attacchi degli Houthi dallo Yemen e delle milizie sciite in Iraq e Siria. L’Unione, se ne discute, non ne dà conto nel documento ufficiale.
Il vertice dedica poche righe alle “sfide del settore agricolo e delle preoccupazioni degli agricoltori”. Il punto è rinviato ad una riunione straordinaria a fine mese. Le proteste degli agricoltori toccano il New Green Deal della Commissione von der Leyen. La tutela dell’ambiente avverso la prosperità dell’agricoltura?
di Cosimo Risi
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