Forse aveva ragione Alcide De Gasperi, quando nel 1943 di fronte alle rovine provocate dalla guerra, sosteneva, che “in Italia c’è tanto da conservare, almeno quanto c’è da distruggere”.
Dopo il successo elettorale del partito di Giorgia Meloni si è molto discusso sulle caratteristiche di un partito conservatore, tenuto conto che nell’esperienza italiana, a differenza della Gran Bretagna e degli Stati Uniti, non è mai stato radicato un “Grand old party”, non potendo restare elemento di confronto l’esperienza minoritaria del partito liberale, per altro ontologicamente diversa da quanto oggi si intende attribuire all’espressione “partito conservatore”.
In sostanza, non vi è mai stato un partito di destra in grado di interpretare l’opinione pubblica tradizionalista e conservatrice, che, se mai, ha avuto la propria “voce” in alcuni settori della Democrazia Cristiana.
A far luce sul fenomeno vi sono due libri molto interessanti: il primo, edito da Laterza, è di Paolo Macrì, “La destra italiana”; il secondo, edito da Ares, è di Marco Invernizzi e Oscar Sanguinetti, “Conservatori”, ed entrambi si misurano su una questione di non secondario rilievo ovvero se il conservatorismo moderno resti o meno una forma ripulita di una destra populista che ha giocato, sin da tempi lontani, la carta dell’antipolitica.
Non credo, però, che in assoluto la moderna accezione di “partito conservatore” possa qualificarsi come una nuova forma di populismo, se si fa eccezione per quella particolare forma di tradizionalismo fine a sé stesso, a fronte dei mutamenti sociologici, che ha caratterizzato anche la recente esperienza di una parte della “Lega” (che, non a caso, si è trovata alleata con il “Movimento 5Stelle”). In sostanza, il conservatorismo moderno – come nota con il solito acume Antonio Polito sul “Corriere della Sera” – non può presentarsi come antimodernismo radicale o come utopismo del passato.
Un moderno partito conservatore deve oggi misurarsi nel governo del processo della modernità, che non ne discuta le premesse e i paradigmi, ma cerchi di ricondurlo in un alveo di affermata sostenibilità. Invero, questa tendenza si presenta più coerente con l’esperienza di un partito moderato e liberale, quale è, ad esempio, “Forza Italia”, lontano dal parallelismo, innanzi rappresentato, tra conservatorismo e populismo.
Se la tradizione dell’antipolitica, che ha rappresentato per lunghi decenni il dato caratterizzante della destra italiana, è rimasta lontana dal liberalismo classico, che ha, invece, sia pure tra qualche contraddizione, caratterizzato il partito di Silvio Berlusconi, resta naturale conseguenza che proprio la sintesi degli elementi fondanti di “Forza Italia” possano oggi rappresentare il terreno sul quale costruire una moderna accezione di conservatorismo.
Si tratta di un percorso seguito dai grandi partiti conservatori europei, dai gollisti francesi ai tories inglesi, ma che non è completamente estraneo all’esperienza della CDU tedesca oppure a certe elaborazioni del popolarismo italiano (seppure qui il tema di indagine si presenta più complesso ed articolato in ragione delle varie “anime” che hanno caratterizzato il fenomeno nel nostro Paese). Dunque, un partito che resta lontano dalle tentazioni autocratiche di Orbàn in Ungheria o dalle posizioni di Vox in Spagna, non a caso fondato da membri dissidenti del partito popolare.
Solo in questo nuovo contesto può, anche a livello europeo, trovarsi il presupposto per un’alleanza tra il partito popolare e il raggruppamento dei conservatori europei; e in Italia dar luogo ad una più stabile rapporto tra “Forza Italia” e “Fratelli d’Italia”, che mantenendo la rotta della civilizzazione occidentale ed evitando scivolamenti pericolosi verso Est, accettino entrambe la sfida del cambiamento, nel tentativo di governarlo e non solo di denunciarlo.
Giuseppe Fauceglia