E’ importante riportare ampi stralci della memoria difensiva del legale salernitano. Intanto viene chiarito che la Ifil, secondo le dichiarazioni di Nicola Ciancio, commercialista e consulente della società fallita,con riferimento alla situazione patrimoniale e l’andamento economico della IFIL al 31 dicembre 2010, ha riferito: “Allora sicuramente da un punto di vista patrimoniale la società si può definire al 31 dicembre solida, in quanto c’è unpatrimonio netto, positivo di ben 143 mila euro…”.
Il periodo in cui la Ifil risultava amministrata da Ferraro, essa poteva ritenersi una società in buona sostanza solida, registrando un patrimonio netto positivo di ben 143.317,00 euro, a fronte di un capitale sociale di euro 10.000,00. Nel 2010 il fatturato era stato di tre volte superiore a quello del 2009, la IFIL aveva goduto di diversi appalti e le prospettive della società apparivano decisamente buone ed in crescita, ragioni per le quali inizialmente l’avv. Ferraro accettava di entrare nella compagine sociale nella qualità di socio e di amministratore, pur trovandosi obbligato a dare le dimissioni solo pochi mesi dopo, proprio a causa dell’impossibilità svolgere il suo ruolo.
Inoltre, secondo quanto riferito anche dal Dott. Ciancio, la società Ifil, alla data del 31 dicembre 2010, anche applicando gli indici previsti dal codice della crisi di impresa attualmente in vigore, non versava in uno stato di insolvenza. Particolarmente rilevanti, sul punto, si rivelano le osservazioni espresse dal consulente dell’imputato, Nicola Ietto La situazione era tale che senza l’accanimento della Procura, non sarebbe mai stato dichiarato il fallimento; non a caso il Tribunale negava per ben due volte l’esistenza di uno stato di insolvenzaimoniale della “I.F.I.L.Un particolare da non sottovalutare anche per la posizione della stessa società che -secondo i periti- sarà dichiarata fallita proprio per il sequestro delle azioni e la nomina di un commissario. Veniamo di nuovo alla vicenda di Ferraro. La società è stata amministrata dall’imputato dal 23 settembre 2010 al 12 luglio 2011, come risulta dalla visura camerale.
Deve precisarsi però che, in realtà, l’imputato aveva indirizzato alla compagine sociale, già nel maggio 2011, la raccomandata con la quale presentava le dimissioni dalla carica di amministratore. In maniera generalizzata, si accusano tutti i coimputati del capo a), compreso dunque l’Avv. Ferraro, di aver commesso una serie di fatti di bancarotta individuati nell’utilizzo del denaro della società per il pagamento di viaggi a beneficio di De Luca Piero e della di lui coniuge nonché di altri soggetti estranei alla compagine, acquisti di genere vario che sarebbero stati fatti dal Del Mese, pagamenti e prelevamenti di denaro dal conto corrente intestato alla Ifil.
Al fine di vagliare la fondatezza del costrutto accusatorio, occorre verificare se nel periodo in cui l’Avv. Emilio Ferraro ha rivestito l’incarico di amministratore, fosse in atto la creazione o l’aggravamento di una situazione di dissesto economico che, prevedibilmente, avrebbe condotto al fallimento della società. Aspetto, quest’ultimo, completamente tralasciato dal Pubblico Ministero, nel corso della requisitoria. In relazione a tale profilo.
Alla luce della ricostruzione effettuata non può che pensarsi che il Ferraro – scrive ancora l’avvocato Tedesco – dall’Ufficio di Procura sarebbe stato ritenuto comunque colpevole, anche se avesse svolto il ruolo di amministratore per un solo mese. Se, infatti, le condotte sono state espunte da quelle responsabilizzanti, anche grazie alla verifica della semplice incongruenza temporale tra la singola azione e il periodo di competenza del Ferraro, e neanche ciò è bastato a far ricredere la Procura sulla colpevolezza dell’imputato, allora non può che ritenersi che il Ferraro sarebbe stato considerato comunque responsabile per il sol fatto di aver rivestito quella carica!
Nel caso de quo il Ferraro, richiesto di svolgere il ruolo di amministratore per i motivi già detti, non riuscendo a porre in essere attività di amministrazione attiva né tantomeno attività di controllo sull’operatività della Società, nonostante il tentativo di rendicontazione mensile istituito con Ciancio, presentava le dimissioni dalla carica. Tale comportamento evidentemente risulta scevro di ogni proposito doloso ed in assoluta opposizione a quanto sostenuto dall’Accusa. Nondimeno, non può che considerarsi l’epoca in cui il Ferraro svolgeva quell’attività: ben cinque anni prima della dichiarazione di fallimento.
Il Ferraro non rivestiva la carica di amministratore durante un momento di decozione della società, né quando la stessa era in una situazione di crisi ovvero di dissesto, ma quando la società aveva oltre 300.000,00 euro di crediti ed un patrimonio netto, positivo (alla data del 31.12.2010) di ben 143 mila euro. A sentire la sola versione del Pubblico Ministero parrebbe di essere nella classica ipotesi di società che individuano teste di legno senza qualifiche e competenze, onde rivestire ruoli di responsabilità, perché chi amministra in concreto non può comparire! Ci troviamo, di contro, in un’ipotesi ben diversa, e cioè nel caso di una società operativa e economicamente solida, con un potenziale di crescita enorme e progressivo (dovuto alla connessione con la edificazione degli appartamenti ex pastificio Amato) che coinvolge come figura di coamministratore un professionista con notevole esperienza nel settore della contrattualistica immobiliare: professionista che, come evidenziato in precedenza, non appena si rende conto di non aver alcun potere, di non ottenere i risultati lascia.
L’unico punto in cui Ferraro firma un assegno di 8mila euro a Mario Del Mese, come risultat dai tabulati bancari, del 30 dicembre 2010, viene compensato dal fatto che in data 24 gennaio 2011, lo stesso Del Mese, restituiva la somma con altro assegno circolare di 8 mila euro.
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