I soggetti sono i Servizi israeliani, a Parigi erano presenti i capi del Mossad (il servizio esterno) e dello Shin Bet (il servizio interno), oltre al consigliere per la sicurezza del Primo Ministro, il Direttore della CIA, il capo dei servizi d’Egitto, alcuni esponenti palestinesi non si sa se con una propria qualifica o sotto l’egida della delegazione del Qatar.
Si pone il problema formale della rappresentanza. Israele accetta di negoziare direttamente con Hamas riconoscendole uno status che non sia solo quello di organizzazione terroristica? Anche su questo punto sapremo, se sapremo, soltanto in futuro.
Non sarebbe la prima volta che Israele accetta di trattare, di fatto o in via formale, con un soggetto che qualifica di terrorista. Soltanto con gli Accordi di Oslo (1993) lo Stato riconobbe la facoltà a negoziare della delegazione palestinese.
Prima era fatto divieto ai cittadini di Israele di intrattenere rapporti di qualsiasi tipo con l’OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) e con il suo leader Yasser Arafat (gli Israeliani non lo chiamavano Presidente). Lo stesso Arafat, con Yitzhak Rabin e Shimon Peres, ebbe il Nobel per la pace per quegli accordi.
Hamas ottiene il risultato di emergere dalle gallerie per trattare con il nemico sionista il rilascio degli ostaggi e l’alleggerimento della campagna di Gaza. Non il cessate il fuoco a tempo indeterminato né il ritiro delle truppe, ma una moratoria scandita giorno per giorno dal rilascio di un ostaggio, prima i bambini e le donne, poi i malconci, infine i militari. Per non parlare delle salme, anche quelle, da tradizione ebraica, da riportare a casa per la sepoltura.
Il Premier Netanyahu cede alle pressioni americane, al Presidente in carica deve pur riconoscere qualcosa pur scommettendo che non lo sarà più a novembre, e prospetta una prima soluzione politica per Gaza. La smilitarizzazione della Striscia, il controllo dell’IDF sulle attività al suo interno, la creazione di una zona cuscinetto con Israele, l’amministrazione da parte di soggetti arabi, la creazione di un corpo di polizia armato di sole pistole.
Resta indefinita l’autorità chiamata ad amministrare la Striscia come pure i paesi che dovrebbero finanziarne la ricostruzione. Si presume siano le monarchie arabe del Golfo, che però pongono come condizione la creazione di uno Stato palestinese. Una concessione, “un regalo”, che Israele non contempla in questa fase. L’opzione dei due popoli – due stati resta sullo sfondo, non si sa se come carta da giocare in un negoziato più ampio con l’Amministrazione americana o per un futuro così remoto da sfuggire a qualsiasi previsione.
Netanyahu invoca l’allontanamento a termine dell’UNRWA (United Nations Relief and Works Agency for Palestine). Alcuni suoi dipendenti a Gaza sarebbero collusi con Hamas, il che getta un’ombra sull’intera attività dell’Agenzia.
Non è nel potere di Gerusalemme decidere del destino dell’UNRWA. Sono solo le Nazioni Unite che ne possono disporre, è difficile che New York accetti di mutilarla. L’Agenzia offre sostegno non solo agli abitanti di Gaza ma a tutti i palestinesi della diaspora, e sono milioni, ai quali fornisce dai documenti d’identità alle pratiche scolastiche e sanitarie.
Alcuni ambienti in Israele sono consapevoli della criticità della partita. Un ex alto ufficiale, fra quelli dell’originario sionismo progressista, ammette che “siamo in un posto che abbiamo conquistato, le persone si sono abituate alla situazione e gradualmente passiamo da conquistatori a bersagli… La questione è quanto a lungo siamo capaci di cavarcela, se hai a che fare con un governo che rifiuta di parlare di soluzioni politiche…
La differenza con la Guerra dello Yom Kippur (!1973) è che allora il fronte fu attaccato, mentre ora (2023) abbiamo le comunità attaccate. Nel nostro stesso paese abbiamo il più ampio numero di rifugiati israeliani mai visto” (La minaccia esistenziale per Israele viene dall’interno, Haaretz, 23 febbraio 2024).
I rifugiati cui l’intervistato si riferisce sono quelli che hanno lasciato le abitazioni nelle vicinanza della Striscia e in alcune città settentrionali sotto la minaccia dei lanci dal Libano. La popolazione si sente assediata da varie parti ed auspica un gesto di pacificazione interna: la rinuncia alla riforma giudiziaria che ha provocato, fino ad ottobre 2023, le più vaste contestazioni popolari mai conosciute.
Cosimo Risi
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