Si tratta di una configurazione che troviamo già indicata nell’art. 4 della “Dichiarazione dei Diritti dell’Uomo e del Cittadino” del 1789, che nel suo impianto resta il fondamento della democrazia borghese, in cui il termine “libertà” è immediatamente seguito – in una piramide di valori – dai termini “sicurezza” e “proprietà”, quest’ultima dappoi declinata nella libertà economica e dell’iniziativa imprenditoriale.
Proprio lo sviluppo che questa costruzione ha conosciuto nei due secoli successivi, consente di individuare un primo gruppo di libertà, che potremmo definire personali, ed un secondo gruppo che potremmo definire sociali o politiche.
Un primo significato di libertà coincide con quello della sicurezza e della protezione degli individui, che sono al tempo stesso garantiti dagli apparati o dalle forze di sicurezza e dalla giustizia, ma che trova la propria essenza anche nel garantire gli individui contro il possibile abuso esercitato dagli uni e dall’altra (ciò spiega l’importanza del garantismo e della presunzione di non colpevolezza). Una seconda nozione è la libertà di circolazione, sia all’interno del proprio paese che oltre i suoi confini (che è valorizzata non solo con riferimento ai singoli individui, ma pure in relazione alla libera circolazione delle imprese nello spazio europeo).
Una terza libertà è data dalla libertà economica, che comprende la libera scelta della professione e del lavoro, la libera scelta del consumatore, la libertà dell’impresa (non a caso oggetto della L. 180/2011, meglio conosciuta come “Legge per la tutela della libertà d’impresa”), alla quale va connesso l’impianto anticoncorrenziale, che rappresenta un vero e proprio presidio della stessa libertà dell’impresa nell’elaborazione del liberalismo moderno. La quarta libertà è la libertà di opinione, di espressione e di comunicazione, che, invero, trova le proprie origini storiche nella libertà di religione.
Vi è da dire che, sia pure tra molte contraddizioni, nell’Europa occidentale queste libertà sono state sostanzialmente garantite in modo accettabile.
Un secondo gruppo di libertà è dato dalle libertà politiche, che potremmo riassumere nella libertà di voto, di protestare e di riunirsi anche in forma organizzata. In uno, vanno considerate le libertà sociali, che potrebbero definirsi anche “diritti sociali”, che si rinvengono nella sicurezza sociale, nella libertà di essere curati (che nella nostra Regione è sostanzialmente disconosciuta a causa dell’inefficienza del sistema sanitario) e di istruirsi, che per la loro pratica attuazione richiedono l’intervento del potere pubblico..
Queste categorie storiche non coincidono con l’altra rilevante distinzione, oggi corrente, tra “libertà formali” e “libertà sostanziali o reali”: se possiamo considerare “reali” le libertà personali, che sono entrate nel nostro modo di essere sino a determinare il vivere quotidiano, e le stesse libertà sociali, che manifestano la loro funzione nel ridurre lo spazio tra il potere di chi detiene un’autorità e i soggetti che la subiscono; non possiamo pervenire alla medesima conclusione per le libertà politiche, che pure conservano un valore simbolico, in cui se il diritto di voto materializza il principio di eguaglianza tra tutti gli individui, resta altrettanto vero che la concreta conformazione del sistema elettorale può spingere verso risultati preordinati, impedendo, in pratica, la scelta dei rappresentanti (e ciò senza considerare il rapporto tra eletti ed elettori nel sistema di rappresentanza indiretta, che è quello proprio delle democrazie moderne).
Ci si chiede, allora, se per assicurare la effettività o la realtà di queste libertà sia solo necessario rispettare le procedure elettorali e rappresentative, oppure se sia opportuno un salto ulteriore, quello di assicurare la reale rappresentanza dei territori e dei cittadini, oggi fortemente ristretta dalle cc.dd. liste “bloccate”.
In realtà, le libertà politiche si definiscono in relazione alla forma dello Stato, più precisamente in relazione alla partecipazione dei cittadini alla vita politica (in ciò si ravvede il contrasto tra i democratici liberali, quali sostenitori delle libertà politiche, e i social-comunisti – espressione semantica e poco rappresentativa –, quali sostenitori delle libertà sociali, che, però, senza le prime finiscono per essere un simulacro di libertà).
Le tragedie del secolo breve, con le dittature nazi-fasciste e comuniste, ha fatto ritenere che oggi il liberalismo si definisca in modo sostanzialmente difensivo, finendo per giustificarsi essenzialmente in senso negativo come opposizione al totalitarismo.
Ma pure nelle dinamiche delle democrazie si è venuto affermando che la costruzione delle libertà deve passare attraverso un limite all’arbitrarietà dei governi, che deve essere limitata dalla legge costituzionale, dell’esercizio del potere giudiziario, sempre caratterizzato dalla garanzia di legalità nel suo concreto svolgersi.
Un tema fondamentale è rimasto quello del rapporto tra libertà ed uguaglianza, sì che “più siamo indotti a definire le libertà come capacità o potere di fare, più la diseguaglianza ci appare inaccettabile; o, ancora, nella misura in cui si tende a confondere sempre più libertà e uguaglianza, ogni forma di diseguaglianza diventa una violazione della libertà” (Raymond Aron e Robert Banditer).
Ciò manifesta nella corrente del pensiero liberale moderno una distinzione tra chi ritiene compatibili le due nozioni poste su un piano paritetico di valori e chi, invece, come Friedrich August von Hayek, ritiene, in una diversa configurazione della struttura sociale, che la libertà abbia una assoluta prevalenza rispetto all’uguaglianza.
Questo, mi pare, il terreno su cui va misurata una nuova nozione delle libertà, in relazione al quale siamo chiamati a riflettere, anche in ragione dell’affermarsi di quella peculiare “dittatura” o “controllo della socialità”, che si definisce “digitale”.
Giuseppe Fauceglia