Il nome di Mario Draghi (Di Cosimo Risi)

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Il nome di Mario Draghi circola per il possibile incarico in Europa. Fra l’estate e l’autunno 2024, i Ventisette Capi di Stato o di Governo dovranno decidere del prossimo Presidente della Commissione e del prossimo Presidente del Consiglio europeo. Il prossimo può anche essere la prossima, tanto per rispettare la parità dei generi.

La presidenza della Commissione richiede il concerto del Parlamento europeo. Nella scheda elettorale le varie famiglie politiche presenteranno il rispettivo Spitzenkandidaten, il candidato di riferimento per il vertice della Commissione. La procedura è informale,  serve più da bandiera di scuderia che da candidatura effettiva.

Il Gruppo Socialista punta al lussemburghese Nicolas Schmit, attuale Commissario europeo al Lavoro. Il nome parte in salita: sia per la concorrenza di Ursula von der Leyen, sia perché Schmit sarebbe il quarto lussemburghese a guidare la Commissione. L’equilibrio geografico e di genere andrebbe rispettato.

Sulla presidenza della Commissione c’è la forte opzione della Popolare Ursula von der Leyen. L’attuale titolare corre per il secondo mandato, conterebbe su un sostegno ampio, specie se i Conservatori o una loro frazione (Fratelli d’Italia) si risolveranno a suo favore. I Socialisti e Democratici si trovano in difficoltà. Il socio di maggioranza, la SPD tedesca, arretra nei sondaggi interni,  con il Cancelliere Olaf Scholz punito da un  basso indice di popolarità e dal caso delle intercettazioni russe.

Per la presidenza del Consiglio europeo la procedura è interna allo stesso Consiglio. I Ventisette eleggono il Presidente al di fuori della loro cerchia. Draghi sarebbe il naturale successore di Charles Michel. Sempre che abbia preliminarmente il consenso del paese di provenienza.

Draghi sta redigendo il rapporto sulla competitività da presentare in autunno. Alcune anticipazioni circa la sua Weltanschauung, la sua visione del mondo, trapelano dai discorsi che ha tenuto al Consiglio Ecofin informale di Gand ed ai Presidenti delle commissioni parlamentari.

Richiesto di una scala di priorità circa le cose da fare, Draghi replica che non ha il calendario in tasca, ha solo l’ansia che qualcosa si muova: “non si può dire di no a tutto”. Il contesto internazionale lo richiede. Nel mondo cresce la conflittualità: per le guerre in corso in Europa orientale e in Medio Oriente e per la bellicosità strisciante altrove.

L’Unione europea deve attrezzarsi per i tempi bui. Draghi non lo dice, è intuibile dal senso generale del discorso: se Donald Trump tornasse alla Casa Bianca, o se ci restasse Joe Biden, quest’ultimo con minore protervia, il sostegno americano alle ragioni europee tenderebbe a scemare. Gli esempi di disimpegno si moltiplicano, altri ne verrebbero se Trump smontasse progressivamente la NATO per lasciare l’Europa in balia delle sue debolezze.

L’Unione  ha varato il Green Deal. La transizione ecologica costa, produce contraccolpi sociali. La politica agricola comune, lo storico pilastro dell’integrazione, è messa in discussione dagli agricoltori per i suoi risvolti verdi e di apertura al commercio mondiale. La retromarcia, per ora timida, trapela dalle dichiarazioni di Ursula von der Leyen e dai provvedimenti legislativi in materia di pesticidi.

Per Draghi, la transizione ecologica è un obiettivo da confermare. Per la difesa occorrono ingenti risorse che vadano aldilà di quelle ordinarie di bilancio. Va mobilitato il risparmio privato accanto all’investimento pubblico. Servono 500 miliardi di euro per giocare il grande gioco della sicurezza. La Russia è minacciosa, gli Stati Uniti e la Cina corrono, l’Unione arranca. Per finanziare la spesa occorre una nuova emissione di titoli europei, sul solco di Next Generation EU.

La regola dell’unanimità in seno al Consiglio va superata. Se l’Unione si allarga ai Paesi Balcanici, per non parlare dell’Ucraina, l’unanimità diventa la prigione delle buone intenzioni. Le decisioni a maggioranza, i gruppi a formazione variabile in funzione della materia: sono alcune possibilità per imprimere velocità al processo decisionale.

La conclusione di Draghi è netta: l’Unione si faccia  Stato ed agisca come tale.

di Cosimo Risi

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